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La testimonianza: Yassin e il suo Spazio Anch’io: “Un’opportunità per il futuro”

Cosa vuol dire Don Bosco in San Salvario? Ecco la testimonianza di Yassin, 22 anni, originario del Marocco, che grazie al progetto Di.Te sta ricevendo un sostegno legale, un orientamento al lavoro e alla formazione e un corso di lingua italiana per migliorare la conoscenza della lingua, come racconta lo stesso:

Ciao, mi chiamo Yassin e sono nato in Marocco precisamente ad Imi-N’fast. Ho 22 anni e sono arrivato in Italia quando ero minorenne per ricongiungermi con la mia famiglia. Per poco tempo ho vissuto a Vercelli e sono stato iscritto a scuola per prendere la terza media, percorso che purtroppo non sono riuscito a terminare perché la mia famiglia ha deciso di trasferirsi in Francia. All’inizio è stato un po’ difficile per me visti i continui cambiamenti in poco tempo (dal Marocco in Italia, dall’Italia alla Francia). Poi una volta maggiorenne la mia famiglia ha deciso di tornare in Marocco e io mi sono ritrovato da solo a vivere lì ma, anche se con un po’ di difficoltà, sono riuscito a trovare un lavoro in un supermercato.

All’inizio del 2018 ho deciso di tornare in Italia sia per rinnovare la Carta di Soggiorno ottenuta da minorenne, sia per sistemarmi definitivamente a Torino dove ho alcuni vecchi amici, sia perché mi ricordavo della possibilità di avere un sostegno da alcuni operatori incontrati quando ero minorenne al Parco del Valentino. La mia intenzione è quella di continuare e portare a termine gli studi e trovare un lavoro regolare per poter costruire la mia vita in autonomia.

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Sono disponibili online i calendari delle diverse attività ed appuntamenti ispettoriali.

La modalità per accedervi è duplice.

  • si possono consultare per settore, nella loro globalità ed importare individualmente gli appuntamenti di interesse;
  • si possono importare tutti gli eventi presenti nella agenda ispettoriale grazie al Google Calendar di 31gennaio.

 

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6/07: Ready to start? Dialoghi e musica intorno a esperienze e progetti di Servizio Civile

READY TO START?

Venerdì 6 luglio 2018, ore 19.00
Dialoghi e musica intorno a esperienze e progetti di Servizio Civile
Bando di selezione 2018 per i giovani dai 18 ai 28 anni

TESC Tavolo Enti Servizio Civile, con la collaborazione organizzativa di Servizio Civile Confcooperative Piemonte Nord e Servizio Civile Salesiani Piemonte e Valle d’Aosta, presenta l’iniziativa dal titolo “READY TO START?”, che si terrà Venerdì 6 luglio 2018 presso OFF TOPIC, via Pallavicino,35 a Torino a partire dalle ore 19.00.

Il momento dell’aperitivo si articolerà attraverso una proposta di musica, letture di testi e testimonianze di giovani e  operatori che hanno vissuto l’esperienza di Servizio Civile. Solidarietà, impegno, lavoro, esperienza, competenze, collaborazione ed anche divertimento: saranno queste le parole chiave che traghetteranno gli interventi dei diversi  testimonial. Un’occasione per conoscere gli enti, i progetti e per ricevere informazioni sulle caratteristiche generali, sui requisiti e su come presentare la domanda per il Bando di selezione 2018, la cui pubblicazione è imminente.

Il Servizio Civile è un percorso della durata di 12 mesi dedicato ai giovani tra i 18 e i 28 anni che desiderano formarsi, orientarsi in un ambiente di lavoro dopo la scuola o l’università, oppure investire il proprio tempo in un’esperienza significativa e riconosciuta.

Il Servizio Civile opera nel rispetto dei principi della solidarietà, della partecipazione, dell’inclusione e dell’utilità sociale nei servizi resi, anche a vantaggio di un potenziamento dell’occupazione giovanile. Le aree di intervento del Servizio Civile sono riconducibili ai settori di: ambiente, assistenza, educazione e promozione culturale, patrimonio artistico e culturale, protezione civile, servizio civile all’estero.

L’importanza sociale e culturale dell’evento è testimoniata anche dalla partnership di OFF Topic, nuovo hub culturale della città di Torino progettato dal TYC – Torino Youth Centre.

L’ingresso è gratuito previo accredito COMPILANDO l’apposito FORM. Ai primi 50 accreditati verrà offerto un drink pass per la serata.

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Bilancio sulle povertà e sulle politiche antidroga in Italia

Su segnalazione di Don Domenico Ricca, Delegato dell’Emarginazione e Disagio e Presidente Comitato Interregionale SCS/CNOS, si pubblicano qui di seguito due approfondimenti.

Il primo circa il recente report di ISTAT sul 2017 riguardante la povertà in Italia, che delinea una situazione attuale drammatica: oltre 18 milioni di persone a rischio povertà o esclusione sociale, si stima in aumento sia l’incidenza di individui a rischio di povertà (20,6%, dal 19,9%) sia la quota di famiglie gravemente deprivate (12,1% da 11,5%) e quelle a bassa intensità lavorativa (12,8%, da 11,7%).

Il secondo focus presenta un bilancio sulle politiche antidroga in Italia, alla luce di quanto emerge dalla nona edizione nono Libro Bianco sulle Droghe presentato al Senato e redatto dalla Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone, Cnca, Cgil, associazione Luca Coscioni con l’adesione di Arci, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica Cgil, Gruppo Abele, Itardd, LegaCoopSociali e Lila. Un testo che rileva un aumento della popolazione carceraria e denuncia gli effetti della repressione in termini di carcerazione.

Buona Lettura!

Istat – 26 giugno 2018

La povertà in Italia Report sul 2017

Le stime diffuse in questo report si riferiscono a due distinte misure della povertà: assoluta e relativa, che derivano da due diverse definizioni e sono elaborate con metodologie diverse, utilizzando i dati dell’indagine campionaria sulle spese per consumi delle famiglie.

Nel 2017 si stimano in povertà assoluta 1 milione e 778mila famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58mila individui; rispetto al 2016 la povertà assoluta cresce in termini sia di famiglie sia di individui.
L’incidenza di povertà assoluta è pari al 6,9% per le famiglie (da 6,3% nel 2016) e all’8,4% per gli individui (da 7,9%). Due decimi di punto della crescita rispetto al 2016 sia per le famiglie sia per gli individui si devono all’inflazione registrata nel 2017. Entrambi i valori sono i più alti della serie storica, che prende avvio dal 2005.

Nel 2017 l’incidenza della povertà assoluta fra i minori permane elevata e pari al 12,1% (1 milione 208mila, 12,5% nel 2016); si attesta quindi al 10,5% tra le famiglie dove è presente almeno un figlio minore, rimanendo molto diffusa tra quelle con tre o più figli minori (20,9%). L’incidenza della povertà assoluta aumenta prevalentemente nel Mezzogiorno sia per le famiglie (da 8,5% del 2016 al 10,3%) sia per gli individui (da 9,8% a 11,4%), soprattutto per il peggioramento registrato nei comuni Centro di area metropolitana (da 5,8% a 10,1%) e nei comuni più piccoli fino a 50mila abitanti (da 7,8% del 2016 a 9,8%). La povertà aumenta anche nei centri e nelle periferie delle aree metropolitane del Nord.

L’incidenza della povertà assoluta diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento. Il valore minimo, pari a 4,6%, si registra infatti tra le famiglie con persona di riferimento ultra sessantaquattrenne, quello massimo tra le famiglie con persona di riferimento sotto i 35 anni (9,6%).

A testimonianza del ruolo centrale del lavoro e della posizione professionale, la povertà assoluta diminuisce tra gli occupati (sia dipendenti sia indipendenti) e aumenta tra i non occupati; nelle famiglie con persona di riferimento operaio, l’incidenza della povertà assoluta (11,8%) è più che doppia rispetto a quella delle famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro (4,2%). Cresce rispetto al 2016 l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie con persona di riferimento che ha conseguito al massimo la licenza elementare: dall’8,2% del 2016 si porta al 10,7%. Le famiglie con persona di riferimento almeno diplomata, mostrano valori dell’incidenza molto più contenuti, pari al 3,6%.

Anche la povertà relativa cresce rispetto al 2016. Nel 2017 riguarda 3 milioni 171mila famiglie residenti (12,3%, contro 10,6% nel 2016), e 9 milioni 368mila individui (15,6% contro 14,0% dell’anno precedente).
Come la povertà assoluta, la povertà relativa è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (19,8%) o 5 componenti e più (30,2%), soprattutto tra quelle giovani: raggiunge il 16,3% se la persona di riferimento è un under35, mentre scende al 10,0% nel caso di un ultra sessantaquattrenne. L’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie di operai e assimilati (19,5%) e per quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (37,0%), queste ultime in peggioramento rispetto al 31,0% del 2016.

Si confermano le difficoltà per le famiglie di soli stranieri: l’incidenza raggiunge il 34,5%, con forti differenziazioni sul territorio (29,3% al Centro, 59,6% nel Mezzogiorno).

Redattore Sociale, 26 giugno 2018

L’aumento della popolazione carceraria e il ruolo delle politiche repressive di
nuovo in primo piano. “I pesci piccoli continuano ad aumentare, mentre i consorzi
criminali restano fuori dai radar della repressione penale”

Libro bianco droghe: “Torna il carcere, serve cambiamento politico e legislativo”

Nona edizione del dossier curato dalle associazioni presentato oggi al Senato.

ROMA – Crescono le presenze in carcere per violazione della legge sulle droghe, un detenuto su 4 è tossicodipendente e ancora oggi si fa riferimento ad un testo di legge di ben 28 anni fa. A fare il bilancio sulle politiche antidroga in Italia, anticipando nuovamente la Relazione governativa al Parlamento del Dipartimento politiche antidroga, è il nono Libro Bianco sulle Droghe presentato oggi al Senato e redatto dalla Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone, Cnca, Cgil, associazione Luca Coscioni con l’adesione di Arci, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica Cgil, Gruppo Abele, Itardd, LegaCoopSociali e Lila. Un testo che ancora una volta lancia l’allarme in primo luogo sugli effetti della repressione in termini di carcerazione.

Questo libro bianco – scrivono nell’introduzione Stefano Anastasia, Garante delle persone private della libertà delle Regioni Lazio e Umbria e coordinatore dei Garanti territoriali, e Franco Corleone, garante dei detenuti della Toscana -, ci racconta del ritorno dell’affollamento penitenziario e del ruolo che, in esso, gioca ancora una volta la legislazione proibizionista in materia di droghe”.

Un carcere pieno di pesci piccoli. Secondo i dati raccolti dal Libro bianco, nel 2017, oltre 14 mila ingressi in carcere su 48 mila totali sono stati causati da imputazioni o condanne sulla base dell’art. 73 del Testo unico. Si tratta di poco meno del 30 per cento degli ingressi in carcere. Al 31 dicembre 2017, invece, sono quasi 13,8 mila i detenuti presenti in carcere a causa del solo art. 73 del Testo unico, “sostanzialmente per detenzione a fini di spaccio”, chiariscono gli autori. Poco meno di 5 mila detenuti sono in carcere anche per l’art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), ma solo 976 sono detenuti esclusivamente per l’art. 74. “Mentre questi ultimi rimangono sostanzialmente stabili, aumentano dell’8,5 per cento i detenuti per solo art. 73 – continua il Libro bianco -. Si tratta complessivamente del 34 per cento del totale. I pesci piccoli continuano ad aumentare, mentre i consorzi criminali restano fuori dai radar della repressione penale”.

Ad aumentare, secondo il dossier, sono anche i tossicodipendenti. Nel 2017 sono più di 14 mila, ovvero il 25 per cento circa del totale. Preoccupante, tra questi ultimi, l’impennata degli ingressi in carcere, che toccano un nuovo record: il 34 per cento dei soggetti entrati in carcere nel corso del 2017 era tossicodipendente.

Un dato positivo arriva dalle misure alternative. Negli ultimi anni, infatti, i numeri sono in lieve e costante crescita. “Il fatto che il trend prosegua oltre la inversione di tendenza nella popolazione detenuta databile dal 2016 lascia ben sperare per una autonomia delle misure penali di comunità – si legge nel Libro bianco -. Restano marginali le misure alternative dedicate: 3.146 sono i condannati ammessi all’affidamento in prova speciale per alcool e tossicodipendenza su 14 mila detenuti tossicodipendenti”. In crescita anche i dati che riguardano le segnalazioni ex art. 75, relative al possesso di sostanze stupefacenti per uso personale, soggette a sanzioni di tipo amministrativo.

Continuano ad aumentare le persone segnalate al Prefetto per consumo di sostanze illecite – si legge nel Libro bianco – : da 27.718 del 2015 a 38.613 del 2017: +39 per cento (+18 per cento rispetto al 2016). Si conferma l’impennata delle segnalazioni dei minori che quadruplicano rispetto al 2015. Aumenta sensibilmente anche il numero delle sanzioni: da 13.509 nel 2015 a 15.581 nel 2017: +15 per cento (+18 per cento rispetto al 2016)”.

Per gli autori del dossier, inoltre, risulta “irrilevante la vocazione terapeutica della segnalazione al Prefetto: su 35.860 persone segnalate solo 86 sono state sollecitate a presentare un programma di trattamento socio-sanitario”. Dieci anni prima erano ben 3 mila. Anche le sanzioni amministrative crescono: riguardano il 43,45 per cento dei segnalati, percentuale in aumento rispetto all’anno precedente. Secondo i dati raccolti dal Libro bianco, però, la repressione colpisce per quasi l’80 per cento i consumatori di cannabinoidi. Seguono a distanza quelli di cocaina (14 per cento) e ancora meno sono quelli di eroina (4,8 per cento). In maniera irrilevante, infine, le altre sostanze. Dal 1990, quindi, oltre 1,2 milioni di persone sono state segnalate per possesso di sostanze stupefacenti ad uso personale. Per Anastasia e Corleone, si tratta di “una inutile macchina sanzionatoria che ingolfa uffici amministrativi e di polizia – concludono -. Ce n’è quanto basta per continuare a chiedere un cambiamento politico, culturale e legislativo che rimetta l’Italia tra le nazioni che stanno cercando e sperimentando vie nuove per la prevenzione dei rischi dell’abuso di droghe e della loro proibizione”.

La Voce E Il Tempo: arriva la nuova rubrica che dà voce ai penitenziari torinesi

Il prossimo numero de “La Voce e il Tempo” del 24 Giugno 2018 sarà arricchito da una nuova rubrica, a cura di Marina Lomunno, che darà spazio e “voce” a chi quotidianamente vive, a diverso titolo, dietro le sbarre.

Ecco l’articolo di presentazione:

 

NUMERO, NELLA FESTA LITURGICA DI SAN CAFASSO PATRONO DEI DETENUTI,
IL NOSTRO GIORNALE DÀ VOCE AI PENITENZIARI TORINESI

CARCERE
Giulia di Barolo torna dietro le sbarre

«Il Cafasso raccomandava ai volontari ‘di dimostrare stima ai detenuti, di trattarli bene, da galantuomini, con dolcezza e carità, senza offendersi se maltrattati, e soprattutto senza mai denunciarli ai custodi per comportamenti scorretti’». Giuseppe Tuninetti, San Giuseppe Cafasso, Elledici, Biografie, Torino 2010) .
Il giornale inaugura questa settimana la rubrica «La Voce dentro» perché il 23 giugno la Chiesa ricorda, nella liturgia, san Giuseppe Cafasso, «il prete della forca», come ricorda il monumento a lui dedicato al «rondò» di corso Regina, crocicchio delle opere dei santi sociali torinesi (don Bosco, Cottolengo, Murialdo, Giulia e Tancredi di Barolo…). Con queste pagine il nostro giornale desidera entrare «dentro» le carceri torinesi («Lorusso e Cutugno» e «Ferrante Aporti») e dare «Voce» a chi vive dietro le sbarre a diverso titolo.

I detenuti innanzi tutto, ma anche gli agenti penitenziari, i volontari, gli educatori, i diversi operatori, i cappellani, l’amministrazione, la direzione: insomma tutto l’ambiente carcerario che più volte il nostro Arcivescovo e i suoi predecessori hanno indicato come «uno spicchio della nostra comunità diocesana» e, come tale, parte integrante delle nostre attenzioni pastorali. La nostra rubrica sarà aperta ai contributi di tutti coloro che hanno a cuore il reinserimento nella società dei ristretti – e, se credenti, il dettato evangelico «ero carcerato e siete venuti a trovarmi».

Vogliamo sottolineare questo collegamento con san Giuseppe Cafasso perché egli non fu soltanto un «cappellano dei carcerati» ma anche un maestro del clero, ispiratore di quelle idee e di quelle intuizioni a cui tutti i santi sociali, a cominciare da don Bosco, diedero attuazione.

«Prete della forca» perché accompagnava al patibolo i condannati a morte confortandoli col messaggio di speranza del Vangelo; prete dei più disperati, i detenuti delle prigioni senatorie torinesi, con cui il Cafasso teologo «prete colto» e formatore di sacerdoti trascorreva gran parte delle sue giornate a confortare e, come scrivono i biografi , «trattenendosi fino a tarda notte a confessarli o ad asciugare le loro lacrime». Per questo il 9 aprile 1948 papa Pio XII proclamò Giuseppe Cafasso patrono dei carcerati.

Dicevamo dell’influenza che san Cafasso ebbe nell’ispirare i santi sociali torinesi: fu lui che invitò don Bosco a frequentare «La Generala», oggi il carcere minorile «Ferrante Aporti» dove il santo dei giovani maturò l’idea del «sistema preventivo». E fu proprio il Cafasso il confessore della marchesa Giulia Falletti di Barolo che, insieme al marito Tancredi, poi sindaco di Torino, fece del loro Palazzo un centro di accoglienza e riscatto per «gli scarti della città». Alla marchesa in particolare stavano a cuore i carcerati: narrano i biografi che era tormentata dalle urla delle prigioniere delle carceri senatorie, quelle frequentate dal Cafasso. Giulia si fa nominare Sovrintendente delle carceri delle Forzate, dove riunisce solo le donne, riuscendo a conquistare la loro fiducia, operando per il loro recupero. E di lì la sua opera a favore della dignità dei detenuti che versavano in condizioni penose non si fermò facendo diventare il Palazzo un punto di riferimento per il reinserimento delle recluse nella società.

E proprio in questi giorni, dopo 150 anni, nello spirito di Giulia, l’Opera Barolo è rientrata in carcere: martedì 29 maggio. L’Arcivescovo, attuale presidente dell’Opera (che sulle orme dei marchesi continua ad operare per la promozione delle fasce più deboli della città), ha convocato per la prima volta nella sua storia il Consiglio di amministrazione presso la Casa Circondariale «Lorusso e Cutugno». «Il nostro progetto, fortemente voluto da mons. Nosiglia, è quello di collaborare con le istituzioni per accelerare i processi di reinserimento dei detenuti» spiega Tiziana Ciampolini, delegata del Distretto sociale dell’Opera Barolo (la «cittadella» fondata dai marchesi nel 1829 e che oggi opera in collaborazione con agenzie del Terzo Settore e con gli Enti locali) «per gli interventi nei penitenziari cittadini nella convinzione – come detta la Costituzione che il carcere, extrema ratio, deve essere luogo dove la pena ha funzione riabilitativa. Per questo abbiamo chiamato i nostri interventi ‘Progetto di giustizia di Comunità’ dove la comunità si attiva tra carità e giustizia. In sinergia con l’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) sperimenteremo collaborazioni con la rete del mondo del sociale di reinserimento lavorativo, aggregativo per far sentire i detenuti e le detenute una risorsa e non un peso».

«Sono lieto che l’Opera Barolo si sia attivata in questo campo così caro a Giulia che ha sorpreso i suoi amici e concittadini del suo tempo in quanto lei nobile e ricca frequentava le carceri soprattutto femminili subendo anche tante umiliazioni da quelle poverette che vivevano in un ambiente disumano» precisa mons. Nosiglia. «Il suo obiettivo, che è anche oggi il nostro impegno, è salvaguardare e promuovere la dignità della persona che, certo, ha sbagliato, ma ha il diritto di potersi riscattare, per ritrovare vie dicambiamento a servizio della comunità. L’impegno dell’Opera Barolo insieme alla Città, alla Caritas, ai cappellani del carcere e all’amministrazione penitenziaria sarà dunque quello di attivare misure alternative per l’esecuzione penale, con un proficuo accompagnamento dei detenuti per un reinserimento sociale, mediante disponibilità di alloggi e di lavoro. Ci auguriamo che le comunità cristiane e civili della città siano solidali con questo progetto accogliendo le persone con rispetto amore».

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La testimonianza: Michele Reolon e l’esperienza di noviziato in Piemonte: “Felicità è saper ascoltare l’amore di Dio”

Cosa vuol dire oggi Don Bosco per i giovani? Ecco la testimonianza di Michele Reolon, 22 anni, di Belluno, novizio salesiano che a settembre di quest’anno farà la prima professione “a Dio piacendo” per diventare un salesiano di Don Bosco. Michele ha svolto un anno di discernimento, insieme ad altri 9 novizi e alle guide spirituali, a Monte Oliveto, a Pinerolo, sede del Noviziato dei Salesiani di Piemonte. All’Oratorio Salesiano San Luigi di Torino ha prestato servizio insieme ad altri 3 novizi, esperienza questa che gli è servita a rafforzare ancora di più la sua decisione di entrare nella congregazione salesiana, come racconta lo stesso:
Fin da piccolino avevo questo sogno “strano” di diventare sacerdote, poi ad un certo punto, iniziando le superiori, ho voluto, quasi dovuto seppellire questa chiamata, e tutto d’un tratto Dio è diventato un po’ un concorrente per la mia vita; mi stava molto stretto, come mi stava stretto questo sogno che avevo da piccolino. Ho cercato di cancellare tutto, di andare avanti, di riempire questo vuoto, che avevo d’improvviso creato io, con tantissime altre cose. Ma questo vuoto non andava via, e in cuor mio diventavo sempre più triste. Mi mancava qualcosa e non sapevo cosa fare della mia vita. Avevo amicizie, in mente una vita con un percorso tracciato, ma non ero veramente felice. Mi mancava qualcosa. Allora è stato in quel momento che ho avuto nostalgia di Dio. E in questa nostalgia Dio mi ha chiamato ancora più intensamente, rispetto a quando ero bambino. E al mio cuore, prima che alla mia mente ho sommessamente sussurrato: “voglio essere Tuo per sempre!”. E ci sto provando ad esserlo, giorno dopo giorno, anche grazie all’appoggio che mi stanno dando i miei familiari, difficilmente si riesce ad essere compresi in simili decisioni.
Adesso posso dire che mi sento davvero felice: in collina, sede del Noviziato, viviamo in semplicità, tra preghiere e studio, e la sera tutti a far festa insieme, in un clima gioviale e al contempo familiare. Sono felice anche perchè so che Dio è felice di me. Ed è da questa felicità che partirei per rispondere a chi come me si trova o si è trovato perso tra interrogativi, a cercare di riempire il vuoto esistenziale con tutto meno che con Dio: il consiglio che darei è, prima di tutto, trovare una guida spirituale che possa consigliare, ascoltare e accompagnare in questa scelta; poi lasciarsi rubare il cuore dai giovani, dai ragazzi: penso che il miglior discernimento per uno che si sente chiamato alla vita salesiana sia proprio il cortile, sudando, puzzando, donarsi pienamente ai giovani, soprattutto ai più poveri.
Il terzo consiglio che mi sento di dare è: lasciatevi voler bene da Dio, solo così pian piano potrete innamorarvi di Dio. È un sentimento concreto, che rende felici, davvero: anche se tanti di noi giovani non lo sanno, secondo me sotto sotto, è quella strada, quel sogno che è Dio per ciascuno di noi, che può dare una scossa nella nostra vita. Tante volte mi viene un magone dentro al cuore quando vedo tanti giovani che buttano purtroppo la loro vita in tante cose che non riempiono, come ho fatto io fino a qualche mese fa, seguendo tante altre cose che non mi hanno riempito, ma hanno solo coperto bisogni momentanei. Perchè Dio non è un avversario alla nostra felicità, Dio ama da pazzi noi giovani: bisogna per forza fargli spazio nella propria vita per essere davvero felici.

Don Ricca: una Pastorale che abbia «l’odore dei detenuti»

Come coinvolgere i giovani detenuti che popolano le carceri italiane e gli Istituti di pena minorili nel cammino del Sinodo dei giovani? Una delle domande dell’intervista a Don Domenico Ricca, cappellano del «Ferrante Aporti» di Torino, realizzata dalla redazione de La Voce E Il Tempo, in edicola domenica 6 Maggio 2018, a cura di M. Lomunno. Buona Lettura!

INTERVISTA – IL CAPPELLANO DEL «FERRANTE APORTI» E IL COINVOLGIMENTO DEI RECLUSI DEGLI ISTITUTI DI PENA MINORILI NEL CAMMINO DEL SINODO DEI GIOVANI

«I giovani hanno bisogno non di un’idea, ma di un sentimento, di
un’emozione che fa fatica a tradursi in operatività, in voglia di cambiare»

Come coinvolgere i giovani detenuti che popolano le carceri italiane e gli Istituti di pena minorili nel cammino del Sinodo dei giovani? Lo chiede, a nome dei cappellani degli Istituti penali per i minori, don Raffaele Grimaldi, Ispettore generale dei cappellani, in una lettera inviata nei giorni scorsi agli incaricati degli Uffici di pastorale giovanile delle diocesi italiane. Scrive don Grimaldi: «Il Sinodo può essere l’inizio di un progetto di collaborazione tra il Servizio di pastorale giovanile diocesano e la realtà dell’Istituto penale per minori e delle carceri… Un seme che nasce in questa occasione può diventare il segno di un cammino comune che va avanti in tempi ordinari. I giovani che escono dal carcere hanno bisogno di aiuto concreto, sono essi stessi ‘opere segno’ di cui tanto si parla nella Chiesa. Hanno bisogno di casa, lavoro ma soprattutto di accoglienza nelle nostre comunità».

Abbiamo chiesto a don Domenico Ricca, salesiano, da 38 anni cappellano del carcere minorile torinese «Ferrante Aporti» di commentare queste sollecitazioni, convinti, come più volte richiama papa Francesco, che la pastorale
giovanile deve rivolgersi a tutti, non a «categorie» di giovani siano essi neet, lavoratori, educatori parrocchiali, universitari, disoccupati, stranieri, detenuti…

Durante il Giubileo della misericordia il nostro Arcivescovo ha aperto una Porta santa anche nella cappella del «Ferrante Aporti», nell’intento di far sentire i ragazzi ristretti parte di una comunità. Ora voi cappellani proponete di rendere parte attiva i vostri ragazzi nel Sinodo dei giovani. Quale pastorale giovanile è possibile dietro le sbarre e come parlare ai detenuti di un Sinodo dedicato anche a loro?

L’apertura di una Porta santa al «Ferrante Aporti» è stato certamente un evento di alto valore simbolico, oserei dire
più per la comunità diocesana che per i ragazzi. Il messaggio dell’Arcivescovo era rivolto ai ragazzi per testimoniare loro che in Gesù trovano sempre la misericordia, ma soprattutto un «avvocato», parola che a loro, in quanto detenuti, parla direttamente, che li ascolta, li accoglie. Sulla porta della cappella del nostro carcere c’è il Buon Pastore, quell’affresco  datato II secolo d.C., dipinto su una volta delle catacombe di San Callisto a Roma. La scorsa domenica, dedicata appunto al Buon Pastore, è stata oggetto delle nostre riflessioni durante la Messa con i ragazzi del «Ferrante». Abbiamo anche condiviso l’immagine del pastore di papa Francesco che, nella Messa del Crisma del 28 marzo del 2013, invitava i sacerdoti a «essere pastori con ‘l’odore delle pecore’». «Questo io vi chiedo», ha detto il Papa, «siate pastori con ‘l’odore delle pecore’, che si senta quello». Per questo, venendo alla domanda «quale pastorale giovanile è possibile dietro le sbarre», oserei rispondere: una pastorale giovanile che abbia «l’odore dei detenuti», dei ragazzi minorenni e giovani adulti in attesa di giudizio o in sconto pena. Un pubblico variegato, multi-
forme, complesso, ma sempre adolescenti. Occorre prendere il loro odore, che è lo stesso delle periferie esistenziali, delle comunità per minori e delle accoglienze dei minori stranieri non accompagnati.

Come coinvolgere, secondo la sua esperienza, la Pastorale giovanile nelle carceri (non solo minorili: i giovani stanno anche delle carceri degli adulti), che tipo di percorsi di fede si possono pensare per i ristretti «giovani» tenendo conto anche delle diverse religioni della popolazione carceraria?

Nella lettera che lancia l’iniziativa del Sinodo dietro le sbarre, l’Ispettore generale dei cappellani delle carceri, don Raffaele Grimaldi, a nome di noi cappellani richiama come il Sinodo possa essere l’inizio di un progetto di collaborazione tra il Servizio di pastorale giovanile diocesano e la realtà degli Istituti penali per minori. Una collaborazione che non si estingua con l’evento Sinodo, ma che duri nel tempo. Certo, nel tempo i ragazzi cambiano: i nostri cancelli sovente per i più sono dei tornelli. Ma la comunità cristiana, la Pastorale giovanile, non può essere un tornello di ingresso e di uscita veloce. Se vuole avere senso e significato deve garantire continuità, anche piccola, come quei ragazzi che animano da più anni la nostra Messa festiva al «Ferrante», magari sottraendo qualcosa al loro oratorio. Ma non è un sottrarre, è un aggiungere.

L’immagine scelta per il Sinodo è quella del discepolo amato: come trasmettere dietro le sbarre questa certezza, e che cioè Gesù ama tutti i giovani indistintamente e che è in qualche modo dietro le sbarre, è il loro «difensore»?

Questione difficile e poco verificabile, per la diversità dei linguaggi, per la multiformità delle simbologie che la storia
di ogni ragazzo porta con sé a partire dal loro Paese, cultura e religione. Non facile anche per i giovani italiani, dove la riscoperta del religioso che è in loro si anima di immagini dei percorsi di catechesi della fanciullezza, di presenze in oratorio a volte, forse, di disturbo, di quello stare sulla porta perché curiosi di un mondo che sprizza gioia, allegria, con la paura di esserne esclusi. Ma anche incapaci di far scelte che durino nel tempo. Sulla porta perché positivamente «presi» da figure di preti, di parroci, forse poco clericali, ma tanto «persone». Preti e suore che sanno amare, che non disdegnano l’odore della strada, della periferia. I giovani hanno bisogno non di un’idea, ma di un sentimento, di un’emozione che fa fatica a tradursi in operatività, in voglia di cambiare. E dove non ce la fa ad arrivare Gesù, ci arriva la figura della Vergine. L’Ave Maria, quell’Ave Maria di don Bosco…

Don Ricca, lei è salesiano e più volte ha spiegato che ha impostato la sua presenza in carcere come quella in un oratorio: come parlerebbe don Bosco del Sinodo dei giovani in carcere?

Don Bosco tornerebbe in prigione, tornerebbe alla Generala… si inventerebbe l’uso dei social. Creerebbe gruppi su Whatsapp e Instagram! Lui che ha inventato le «Letture cattoliche» per rendere accessibile a tutti, specie al ceto popolare, le ricchezze della cultura religiosa e della cultura in generale, cosa non inventerebbe oggi perché ai suoi ragazzi, «i discoli e i pericolanti», non venisse negato il diritto alla bellezza! È la lezione di don Milani: le forme sono del tempo, ma quello che ci ha lasciato è la voglia di rischiare, di chiedere di più, di non sedersi: direbbe papa Francesco «di non condurre una vita mondana». Don Bosco manderebbe in carcere i suoi preti e chierici più ardimentosi, giovani, li sosterrebbe anche nelle loro intemperanze. Ma soprattutto sarebbe padre, amico e fratello dei ragazzi reclusi e ripeterebbe anche oggi il suo monito della «Lettera dei castighi»: «Amateli i ragazzi. Si otterrà di più con uno sguardo di carità, con una parola di incoraggiamento che con molti rimproveri» perché «tutti i giovani hanno i loro giorni pericolosi, e voi anche li avete. Guai se non ci studieremo di aiutarli a passarli in fretta e senza rimprovero».

I giovani che sono in carcere sono l’anello debole di una catena, ma tanti «fuori» sono in preda al disagio e alla ricerca di senso. Come può il messaggio del Sinodo arrivare anche ai giovani che non sanno neppure cos’è un Sinodo e sono lontani dalle nostre parrocchie?

La domanda mi rasserena perché dà voce a tutte le mie perplessità, mi fa sentire meno extraterrestre…Perplessità che poi rimuovo perché temo siano le solite lamentale di chi sta con i giovani, ma non è più giovane, di chi li osserva, li ascolta, li fa parlare. Ma i dubbi permangono, neanche il «classico» antidoto dell’ottimismo salesiano riesce a fugarli. Forse noi siamo troppo abituati a pensieri compiuti, logici, razionali, completi. Ma non è più il parlare dei giovani, il linguaggio dei social, delle abbreviazioni, dei molti errori di ortografia e di sintassi che quando li leggiamo siamo tentati di rimandarli al mittente corretti. Il conversare sullo smarthphone, con le faccine sorridenti o con le
lacrime, con il pollice verso, con gli emoticon e quant’altro… Quando la domenica in parrocchia mi trovo davanti un folto gruppo di ragazzi, allora privilegio il loro linguaggio, l’alfabetizzazione delle verità di fede, la semplicità della narrazione biblica, ma soprattutto cerco con gli sguardi e le domande di capire se hanno capito. Alla fine poi è un predicare che è molto gradito anche agli adulti…

In una parola, dobbiamo correggere il nostro comunicare. La scommessa non è di saper ridire ai ragazzi l’alfabeto della fede, di condividere con loro una nuova grammatica del parlare di Dio e con Dio?

Se non ne siamo consapevoli il nostro sarà solo un balbettìo. Partiamo da questo nuovo alfabeto. L’alfabeto della vita che supera le distanze, i confini e le barriere geografiche, ma anche quelle generazionali.

Spagna – Giovani italiani lavorano come volontari nelle presenze salesiane

Si riporta l’articolo di ANS – Agenzia Info Salesiana relativo al programma dedicato ai giovani italiani tra i 18 e i 30 anni che scelgono volontariamente di spendere un anno di vita al servizio in un progetto sociale, educativo, culturale o di altro tipo, nel proprio Paese o all’estero. È un programma a cui quest’anno partecipano circa 30.000 giovani, dei quali 1000 circa impegnati nelle opere salesiane di tutta Italia, e una trentina nei progetti salesiani in Spagna.

 

Nel corso di quest’anno 30 giovani italiani svolgono il loro Servizio Civile in progetti sociali e per il tempo libero dei Salesiani in Spagna. Si tratta di un’esperienza che è iniziata in Spagna nel 2003.

Nei giorni 7 e 8 marzo, si è svolto a Siviglia un incontro con i responsabili del Servizio Civile Universale Italiano in ambiente salesiano. La riunione, organizzata dalla Delegazione della Pastorale Giovanile, ha visto la partecipazione di Chiara Diella, Tecnica del Servizio Civile all’estero, e di don Giovanni d’Andrea, SDB, Presidente di “Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS”, e ha avuto lo scopo di guidare e sostenere il lavoro dei responsabili dei progetti sociali che già da anni sono inseriti nel programma.

Dal 2003, don Santi Domínguez, responsabile dei Centri Giovanili presso il Centro Nazionale per la Pastorale Giovanile, è anche incaricato per il Servizio Civile italiano; si occupa della selezione dei giovani che vanno a lavorare presso le opere salesiane in Spagna e partecipa ai vari momenti formativi che questi giovani realizzano in Italia.

“Poter contare su giovani italiani, che spesso non ci conoscono, è un’esperienza che ci arricchisce. Arricchiscono i nostri centri con un’altra cultura, molto simile, ma allo stesso tempo diversa, e ci aprono a nuove esperienze. Il contatto con i Salesiani e i responsabili italiani è molto fluido e arricchente” ha osservato don Domínguez.

Il Servizio Civile è un programma promosso dal governo italiano, che ha le sue radici nelle forme di servizio sociale che fino a qualche anno fa erano alternative ed obbligatorie in caso di obiezione di coscienza al servizio militare. Dopo l’abrogazione della leva militare obbligatoria lo Stato ha continuato ad assegnare delle risorse per la prestazione di questi servizi sociali e ha definito il Servizio Civile come quell’attività il cui fine ultimo è “la difesa della Patria a partire dai valori di solidarietà, cooperazione, educazione civica, sociale, culturale, ambientale e professionale dei giovani”.

L’obiettivo del programma è che i giovani italiani tra i 18 e i 30 anni scelgano volontariamente di dedicare un anno di vita al servizio in un progetto sociale, educativo, culturale o di altro tipo, nel proprio Paese o all’estero. È un programma a cui quest’anno partecipano circa 30.000 giovani, dei quali 1000 circa impegnati nelle opere salesiane di tutta Italia, e una trentina nei progetti salesiani in Spagna.

25 anni di Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS e nuove sfide per la riforma del Terzo Settore

Anche quest’anno Don Giovanni D’Andrea, presidente di Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS, ha convocato l’Assemblea Ordinaria dei Soci che si terrà a Roma presso la sede di Via Marsala 42, il prossimo 16 marzo 2018.

Il saluto iniziale quest’anno è affidato a Don Stefano Martoglio, superiore regionale dei Salesiani d’Italia e Medioriente.

Durante la prima parte della mattinata apriranno i lavori Don Domenico Ricca, già presidente di Salesiani per il Sociale, insieme al direttore generale della federazione, Andrea Sebastiani. Seguirà la relazione del presidente sulle attività svolte nel 2017.

Nella seconda parte della giornata i partecipanti, divisi in gruppi, affronteranno il tema della Riforma del Terzo Settore con un focus sui cambiamenti previsti dal nuovo Codice e dai singoli decreti.

 

 

 

7/03: Incontro del TESC con Titti Postiglione al Teatro Crocetta

Mercoledì 7 Marzo
ore 9.00-13.00
TEATRO Crocetta – via Piazzi 25, Torino

Il TESC – Tavolo enti Servizio Civile del Piemonte organizza un incontro con Titti Postiglione mercoledì 7 marzo 2018 presso il Teatro Crocetta di Torino rivolto a tutti i volontari del Servizio Civile Nazionale del Piemonte e Valle d’Aosta degli Enti aderenti. Si stima una presenza di oltre 450 giovani.

L’incontro del mattino, facente parte della formazione generale modulo “Protezione Civile” per i volontari in Servizio sarà tenuto dalla Dott.ssa Titti Postiglione, attualmente coordinatore presso il Servizio Comunicazione del Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale, e fino alla scorsa estate alla guida dell’Ufficio Emergenze della Protezione Civile: dal 2002, infatti, è in forze alla Protezione Civile italiana, poi passata a gestire situazioni di grande crisi legate soprattutto ai terremoti come quello dell’Aquila del 2009, quello in Emilia del 2012 e del Centro Italia del 2016.

Programma

Ore 9 Registrazione partecipanti

Ore 9.30-10.30 Intervento introduttivo al tema “Protezione Civile”

Ore 10.45-13 Intervento dott.sa Titti Postiglione

Un’interessante occasione, quella messa a disposizione dal TESC, per conoscere una donna determinata, spigliata e sicura di sé con una vita in prima linea – con un dottorato di ricerca in geofisica e vulcanologia all’Università Federico II di Napoli – che è riuscita non solo a mettere in moto la macchina dei soccorsi per le vittime dei terremoti, ma anche a comunicare in maniera chiara le informazioni vitali che, in quei casi drammatici, necessitano di assoluta risolutezza.

Nel pomeriggio dalle 14 alle 18 segue l’incontro formativo sul modulo “Rappresentanza nel Servizio Civile”. Intervengono: Licio Palazzini (Presidente Cnesc e componente Consulta Nazionale), Umberto Forno (Presidente TESC Piemonte), i rappresentanti dei Volontari della Regione Piemonte.

TESC è un coordinamento di Enti di servizio civile e intende consolidare e sviluppare la rete di risorse e competenze costituita dagli enti del pubblico e del privato sociale del territorio regionale che si riconoscono nei valori di riferimento dello statuto dell’associazione, al fine di qualificare e valorizzare le possibilità educative, sociali e civili, potenzialmente contenute nell’esperienza di servizio civile.