L’attività dei Santi Sociali torinesi come stimolo per il G7

Si segnala l’articolo di Alberto Carpinetti sulle sfide affrontate e i valori propagati da laici e religiosi illuminati del XIX e XX secolo. Possono rappresentare l’agenda del vertice internazionale in corso.

Immigrazione. Disoccupazione. Violenza. Nuove povertà. Evoluzione tecnologica. Questi temi potrebbero essere l’agenda del G7 che si sta svolgendo in questi giorni a Torino. Erano però anche le problematiche quotidiane di una metropoli del XIX e XX secolo, le sfide che una decina di laici e religiosi illuminati di quegli anni ha voluto indirizzare nell’allora capitale del Regno.

Sono coloro che la storia ha definito i Santi Sociali per il loro impegno nella città a fianco degli ultimi: Cottolengo, Cafasso, Murialdo, Don Bosco, Allamano, Frassati, Valfrè, Faà di Bruno, Marello. I loro nomi sono tutti ricordati dalla toponomastica cittadina (tranne uno, Morello) e dalle opere che hanno fondato e che ancora oggi sono attive nel portare avanti le parole del Signore sull’educazione, l’accoglienza, la formazione professionale, l’assistenza ai malati. Opere e parole ancora oggi attualissime che l‘Ucid, l’Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti, ha avuto l’idea di portare dentro al G7 insieme agli auspici del vescovo di Torino, Cesare Nosiglia.

  «Buoni cristiani e Onesti Cittadini»,

diceva ai suoi seguaci San Giovanni Bosco, fondatore dell’ordine dei Salesiani, oggi in 15mila di cui 2/3 sacerdoti impegnati in oltre 1800 strutture nel mondo. L’8 febbraio 1852 don Bosco siglava tra alcuni ragazzi del suo oratorio ed una impresa torinese il primo contratto di apprendistato che le relazioni industriali ricordino. Sei punti sottoscritti oltre che dalle parti, da lui stesso come garante delle persone che aveva formato e dai loro genitori, che sono ancora oggi di piena attualità: il rispetto delle regole, il senso del dovere e della gratitudine, la conoscenza della materia, la dignità del lavoro, il dialogo ed il confronto, la riconoscenza verso chi farà lo stesso percorso in futuro.

«A bisogni nuovi opere nuove»,

erano invece le parole con cui raccoglieva le elemosine San Leonardo Murialdo. Elemosine che lui, figlio di un agente di cambio, investiva nell’insegnamento di nuovi mestieri ai ragazzi di strada che sarebbero poi diventati i suoi “artigianelli”. Egli riteneva che – allora come oggi – l’economia aveva un futuro solo se al centro c’era la persona umana ed il suo saper fare in relazione con gli altri. Il bene comune era l’obiettivo che doveva prevaricare il bene particolare di pochi, attraverso la speranza cristiana nella provvidenza. Un primo modello di rischio d’impresa che Murialdo giustificava spiegando che il primo a rischiare è stato Dio con l’uomo. Ed oggi “SocialFare”, il centro per l’Innovazione sociale dei Giuseppini, è uno dei principali acceleratori di start up in Italia, del Piemonte e non solo. Attualmente la congregazione conta 109 case e 609 religiosi, 440 dei quali sacerdoti.

Il motto di San Giuseppe Benedetto Cottolengo era «Dai il meglio nel peggio»: egli abbandonò le posizioni di vertice del clero torinese per aiutare gli ultimi, i più sfortunati, i migranti di allora che a quel tempo provenivano da Biella, dalla Lombardia, delle campagne del Veneto e vivevano in ghetti che il resto della popolazione chiamava «siberie». Un modello di aiuto basato non solo sulla compassione, ma nel ridare dignità e nel trasformare le sfide in punti di forza. Come fa oggi la cooperativa “ChiccoCotto” che valorizza la maniacale precisione di oltre 200 ragazzi autistici per riassortire le vending machine degli impianti industriali e degli uffici italiani, offrendo loro una vera e soddisfacente opportunità di integrazione, valorizzando una debolezza.

Oggi nella Piccola Casa della Divina provvidenza – che poi tanto piccola non è con i suoi oltre 1770 assistiti in 35 case e oltre 1200 volontari solo a Torino – arrivano sempre più persone “normali” che trovano nei più deboli una fonte di ispirazione a e conforto. La sua risposta alla violenza è sempre stata la pace difendendo i deboli e coinvolgendo i violenti per far loro superare le paure che li rendono tali.

Signori Ministri, se il G7 di lavoro, Industria e Scienza si sono svolti a Torino è anche perché questa città ha vinto negli anni con i suoi Santi Sociali le sfide del tempo, puntando su educazione, senso del dovere, gratitudine, integrazione come valore di crescita. Sono ricette che tutti capiscono e sono applicabili anche alle sfide del XXI secolo. Spesso la storia si ripete, si dice che l’umanità incorre negli stessi errori del passato. Chissà se questa non sia la volta buona per replicare quanto di buono la storia e la fede hanno fatto a Torino.