La Voce E Il Tempo: arriva la nuova rubrica che dà voce ai penitenziari torinesi

Il prossimo numero de “La Voce e il Tempo” del 24 Giugno 2018 sarà arricchito da una nuova rubrica, a cura di Marina Lomunno, che darà spazio e “voce” a chi quotidianamente vive, a diverso titolo, dietro le sbarre.

Ecco l’articolo di presentazione:

 

NUMERO, NELLA FESTA LITURGICA DI SAN CAFASSO PATRONO DEI DETENUTI,
IL NOSTRO GIORNALE DÀ VOCE AI PENITENZIARI TORINESI

CARCERE
Giulia di Barolo torna dietro le sbarre

«Il Cafasso raccomandava ai volontari ‘di dimostrare stima ai detenuti, di trattarli bene, da galantuomini, con dolcezza e carità, senza offendersi se maltrattati, e soprattutto senza mai denunciarli ai custodi per comportamenti scorretti’». Giuseppe Tuninetti, San Giuseppe Cafasso, Elledici, Biografie, Torino 2010) .
Il giornale inaugura questa settimana la rubrica «La Voce dentro» perché il 23 giugno la Chiesa ricorda, nella liturgia, san Giuseppe Cafasso, «il prete della forca», come ricorda il monumento a lui dedicato al «rondò» di corso Regina, crocicchio delle opere dei santi sociali torinesi (don Bosco, Cottolengo, Murialdo, Giulia e Tancredi di Barolo…). Con queste pagine il nostro giornale desidera entrare «dentro» le carceri torinesi («Lorusso e Cutugno» e «Ferrante Aporti») e dare «Voce» a chi vive dietro le sbarre a diverso titolo.

I detenuti innanzi tutto, ma anche gli agenti penitenziari, i volontari, gli educatori, i diversi operatori, i cappellani, l’amministrazione, la direzione: insomma tutto l’ambiente carcerario che più volte il nostro Arcivescovo e i suoi predecessori hanno indicato come «uno spicchio della nostra comunità diocesana» e, come tale, parte integrante delle nostre attenzioni pastorali. La nostra rubrica sarà aperta ai contributi di tutti coloro che hanno a cuore il reinserimento nella società dei ristretti – e, se credenti, il dettato evangelico «ero carcerato e siete venuti a trovarmi».

Vogliamo sottolineare questo collegamento con san Giuseppe Cafasso perché egli non fu soltanto un «cappellano dei carcerati» ma anche un maestro del clero, ispiratore di quelle idee e di quelle intuizioni a cui tutti i santi sociali, a cominciare da don Bosco, diedero attuazione.

«Prete della forca» perché accompagnava al patibolo i condannati a morte confortandoli col messaggio di speranza del Vangelo; prete dei più disperati, i detenuti delle prigioni senatorie torinesi, con cui il Cafasso teologo «prete colto» e formatore di sacerdoti trascorreva gran parte delle sue giornate a confortare e, come scrivono i biografi , «trattenendosi fino a tarda notte a confessarli o ad asciugare le loro lacrime». Per questo il 9 aprile 1948 papa Pio XII proclamò Giuseppe Cafasso patrono dei carcerati.

Dicevamo dell’influenza che san Cafasso ebbe nell’ispirare i santi sociali torinesi: fu lui che invitò don Bosco a frequentare «La Generala», oggi il carcere minorile «Ferrante Aporti» dove il santo dei giovani maturò l’idea del «sistema preventivo». E fu proprio il Cafasso il confessore della marchesa Giulia Falletti di Barolo che, insieme al marito Tancredi, poi sindaco di Torino, fece del loro Palazzo un centro di accoglienza e riscatto per «gli scarti della città». Alla marchesa in particolare stavano a cuore i carcerati: narrano i biografi che era tormentata dalle urla delle prigioniere delle carceri senatorie, quelle frequentate dal Cafasso. Giulia si fa nominare Sovrintendente delle carceri delle Forzate, dove riunisce solo le donne, riuscendo a conquistare la loro fiducia, operando per il loro recupero. E di lì la sua opera a favore della dignità dei detenuti che versavano in condizioni penose non si fermò facendo diventare il Palazzo un punto di riferimento per il reinserimento delle recluse nella società.

E proprio in questi giorni, dopo 150 anni, nello spirito di Giulia, l’Opera Barolo è rientrata in carcere: martedì 29 maggio. L’Arcivescovo, attuale presidente dell’Opera (che sulle orme dei marchesi continua ad operare per la promozione delle fasce più deboli della città), ha convocato per la prima volta nella sua storia il Consiglio di amministrazione presso la Casa Circondariale «Lorusso e Cutugno». «Il nostro progetto, fortemente voluto da mons. Nosiglia, è quello di collaborare con le istituzioni per accelerare i processi di reinserimento dei detenuti» spiega Tiziana Ciampolini, delegata del Distretto sociale dell’Opera Barolo (la «cittadella» fondata dai marchesi nel 1829 e che oggi opera in collaborazione con agenzie del Terzo Settore e con gli Enti locali) «per gli interventi nei penitenziari cittadini nella convinzione – come detta la Costituzione che il carcere, extrema ratio, deve essere luogo dove la pena ha funzione riabilitativa. Per questo abbiamo chiamato i nostri interventi ‘Progetto di giustizia di Comunità’ dove la comunità si attiva tra carità e giustizia. In sinergia con l’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) sperimenteremo collaborazioni con la rete del mondo del sociale di reinserimento lavorativo, aggregativo per far sentire i detenuti e le detenute una risorsa e non un peso».

«Sono lieto che l’Opera Barolo si sia attivata in questo campo così caro a Giulia che ha sorpreso i suoi amici e concittadini del suo tempo in quanto lei nobile e ricca frequentava le carceri soprattutto femminili subendo anche tante umiliazioni da quelle poverette che vivevano in un ambiente disumano» precisa mons. Nosiglia. «Il suo obiettivo, che è anche oggi il nostro impegno, è salvaguardare e promuovere la dignità della persona che, certo, ha sbagliato, ma ha il diritto di potersi riscattare, per ritrovare vie dicambiamento a servizio della comunità. L’impegno dell’Opera Barolo insieme alla Città, alla Caritas, ai cappellani del carcere e all’amministrazione penitenziaria sarà dunque quello di attivare misure alternative per l’esecuzione penale, con un proficuo accompagnamento dei detenuti per un reinserimento sociale, mediante disponibilità di alloggi e di lavoro. Ci auguriamo che le comunità cristiane e civili della città siano solidali con questo progetto accogliendo le persone con rispetto amore».

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