Intervista a Steve Della Casa

In occasione della ventesima edizione del Sottodiciotto Film Festival & Campus, che si svolgerà a Torino dal 15 al 22 marzo, e della nascita della Collaborazione con Missioni don Bosco, abbiamo avuto il piacere di poter intervistare Steve Della Casadirettore artistico del Festival, che ha raccontato la nascita di questa collaborazione, i temi principali che saranno affrontati al Festival e l’importante presenza di Don Bosco.

Buona lettura!

Tema e significato del Sottodiciotto Film Festival?

Il tema è un gioco di parole con una frase in inglese: “Me, Myself and I”. Parliamo cioè di autorappresentazione, che ha trovato nuova forza e nuova vitalità proprio attraverso i selfie. Ma c’è una costante nella storia del cinema perché molto spesso i registi hanno fatto in maniera di raccontare anche se stessi in quello che proponevano agli spettatori. Insomma l’autorappresentazione è un qualcosa che va pari passo con la storia del cinema. Qui l’abbiamo ripercorsa in lungo e in largo insieme anche alla storia del fumetto, perché è sempre un’educazione visiva importante. 

Abbiamo cercato di prendere sia gli aspetti spettacolari sia quelli più didattici perché il Festival ha questa doppia natura di rivolgersi sia ad un pubblico di appassionati di cinema ma soprattutto ad un pubblico di studenti delle scuole medie inferiori, superiori ed universitari.
Da qui il suo nome Sottodiciotto Film Festival Campus.

Parlando della partecipazione di Missioni don Bosco al Festival, qual’è secondo te il contributo che può e deve dare?

La collaborazione con Don Bosco è fondamentale per noi. Perché in qualche modo riconosce una specie di continuità storica nell’attenzione che la città di Torino in particolare ha dato ai giovani sapendola anche poi esportare in tutto il mondo, cosa che ha appunto fatto l’opera don Bosco. 

Il rapporto con le “creature” di don Bosco tra salesiani e cinema è un rapporto articolato, ci sono sempre stati i cineforum giovanili salesiani, ne so qualcosa perché mi sono formato li! E poi c’è un attento dialogo con il cinema come per esempio nel primo film della Lux, che è la casa di produzione formata e fondata da Guarino, il mio primo film che avevo prodotto  si chiamava proprio “Don Bosco” con la regia di Goffredo Alessandrini, anno 35, unico film fatto a Torino, poi la Lux fu spostata a Roma. Abbastanza significativo che abbiano incominciato questa grande carriera, è la casa di produzione più importante d’Italia,  proprio da un film su Don Bosco.

Una collaborazione con una entità che è molto attenta a tutto quello che fanno i giovani, a come si evolve il mondo giovanile. La stessa attenzione che vorremmo avere anche noi, le due cose si sono incontrate e da qui è nata questa collaborazione.

Qual è il ruolo educativo nel cinema?

Il cinema, diceva compianto Bernardo Bertolucci, è stata l’arte del ‘900. Continua ad esserlo anche penso nel 2000 ed è l’arte che ha riassunto dentro di se tutte le altre come la scrittura, la fotografia, la pittura, l’architettura, la musica, insomma tutte queste arti sono  compresenti in questa settima arte che ha segnato appunto il ‘900.

Diciamo che la caratteristica principale che ha avuto il cinema, è che è un arte che fin dalla sua prima esibizione in quel caffè di Parigi in cui i fratelli Lumier mostrarono un pubblico selezionato dalla loro invenzione, è sempre stata quella di una visione collettiva. Li ci fu uno spavento generale perché loro riprendevano un treno che stava entrando in una stazione e la gente scappò fuori a gambe levate pensando che il treno stava entrando nel bar.

Poi la perfezione del cinema si è evoluta, ma quello che rimane è una specie di sensibilità collettiva rispetto all’immagine in movimento che come sappiamo sono dai tempi della caverna Platonica, insomma il grande sogno dell’umanità che ha cercato più volte di avvicinarsi e poi ci è riuscita con il cinema.

Il cinema quindi è uno strumento di socializzazione incredibile, da questo punto di vista non può essere surrogato da nessuna altra forma di fruizione di immagini in movimento, non da smartphone o da computer o da televisione. Semplicemente è una maniera diversa di vedere le immagini in movimento e consente una forma di socialità che, sopratutto per quelli della mia generazione, è stata fondamentale. Per me andare al cinema era incontrarmi con delle altre persone commentare prima dopo, a volte anche durante, insomma è stato un momento di crescita incredibile per me. 

Adesso con le nuove tecnologie, con il digitale, non è più assolutamente costoso pensare di fare un film. Si può fare un film anche non spendendo niente e questo dà delle possibilità che se sfruttate positivamente sono straordinarie per i ragazzi delle nuove generazioni. Possono fare quello che per quelli della mia era un sogno, possono girare un loro film, diventare sceneggiatori o attori, e tutto questo senza rompere il salvadanaio. Un passaggio abbastanza importante!

Le due cose assieme sono diciamo, come lo chiamerebbero gli economisti, “il cordino” di Sottodiciotto, cioè ci interessa sia far vedere come la visione collettiva di un film fatto da un altro possa essere un momento di arricchimento incredibile, sia quanto possa essere interessante e formativo fare dei film. L’importante è avere delle idee essere guidati in maniera non invadente ma al tempo stesso non assente e cercare di avere uno scopo, un obiettivo per quello che si fa. Queste sono le cose fondamentali.

Steve Della Casa.