Una mail per i ricordi degli amici di don Mecu – La Voce e il Tempo

Si riportano di seguito due articoli in ricordo a don Domenico Ricca, don Mecu, apparsi su La Voce e il Tempo.

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Una mail per i ricordi degli amici di don Mecu

Il 2 marzo ci ha lasciati il salesiano don Domenico Ricca, don Mecu, lo storico cappellano del carcere minorile «Ferrante Aporti» (La Voce e il Tempo, 10 marzo pagina 2). Durante il rosario e poi nella Messa funebre nella Basilica di Maria Ausiliatrice, gremita con oltre 100 sacerdoti concelebranti, erano tantissimi gli amici che hanno voluto salutare un salesiano che, sulle orme di don Bosco, ha speso la sua vita per i giovani che «hanno avuto di meno», come ha sottolineato don Leonardo Mancini, ispettore dei salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta che ha presieduto la celebrazione.

E sono in molti – rappresentanti della società civile e del mondo del volontariato – che si sono uniti al ricordo riconoscente per don Mecu pronunciato in Basilica da don Mauro Zanini, direttore della Comunità San Francesco di Sales di Valdocco in cui don Ricca ha vissuto prima di essere trasferito, dopo l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, nella Casa di cura Beltrami, accudito con altri confratelli malati da don Enrico Bergadano.

E poi ai ricordi di chi ha lavorato spalla a spalla con Mecu: don Francesco Preite, presidente di Salesiani per il Sociale, il giudice minorile Ennio Tomaselli e la moglie Rosamaria, Giuseppe Carro e Gabriella Picco, direttore e vice direttrice del «Ferrante Aporti».

Molti altri, come ha detto al termine della Messa don Michele Molinar, vicario ispettoriale dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta «avrebbero voluto oggi condividere con voi una testimonianza personale, un aspetto della vita di don Mecu che, con la sua presenza in tanti ambienti del disagio sociale ha fatto da stampella a chi fa più fatica».

Per questo don Molinar ha suggerito a coloro che desiderano lasciare una memoria su don Ricca di inviarla alla mail mauro.zanini@salesianipiemonte.it.

Tutti i contributi pervenuti saranno raccolti in una pubblicazione a cura della comunità salesiana, per non disperdere una ricchezza che continua a fare della chiesa di Torino, città dei santi sociali, una comunità che cammina al passo di chi fa più fatica ed è nato come era solito dire don Mecu «nella culla sbagliata o non è riuscito a salire sul treno giusto».

-Marina LOMUNNO

Buon viaggio don Mecu amico, fratello, padre e nonno

Gentile Direttore, son passati più di 10 anni da quando ho conosciuto don Domenico Ricca, don Mecu, scomparso il 2 marzo. Al tempo muovevo i miei primi passi – timidissimi – nel mondo del sociale. Lo vorrei ricordare così.

Mecu, quanta voglia e quanta ansia, in quelle esperienze in carcere, il «tuo» carcere. Mi hai fatto sentire accolto, capace di dare qualcosa (quanto ne avevo bisogno!), anche a quei ragazzi, ai «tuoi» ragazzi. Spesso era solo uno sguardo, un ascolto. Tantissimo, per chi queste attenzioni non le ha mai avute.

In tanti, nella vita, (ri)cerchiamo essenzialmente un Padre, uno che sappia darci un calcio – non sempre morbido – nella realtà; dirci, col cuore, «ce la puoi fare». E crederci, davvero, in noi.

Perché chi ha vissuto la strada, l’abbandono, la violenza – ricevuta spesso da chi ti avrebbe dovuto crescere – ci mette un attimo a smascherarti. A rompere l’incantesimo della tua fiducia, a mollare, a mollarsi. Devi essere vero, sempre. È una responsabilità enorme, che solo i grandi maestri sanno caricarsi sulle spalle. Forse, senza di te, l’università non l’avrei mai finita. Una volta ti ho pure invitato in facoltà, a presentare un tuo libro assieme a Marina Lomunno, educatrice prestata alla scrittura, capace di restituire precisione e bellezza alla tua missione di vita: offrire una luce di speranza concreta nelle ombre tortuose del «Ferrante Aporti».

Come spesso accade quando hai di fronte un maestro, il tuo incontro mi cambiò. Affossato dai miei fallimenti di allora (bocciato alle superiori, andato via di casa più volte sbattendo la porta), ho iniziato a guardarli in faccia, i miei fantasmi. Che ogni tanto ritornano, sotto forma di rabbia. È un allenamento costante, quotidiano: non giudicarsi, capire che anche la rabbia, se non ne vieni risucchiato, è vita. Un eccesso di vita – mi aiuta pensarlo – da condividere per non venirne travolto.

Ma con responsabilità. Con la maturità che solo i grandi educatori, i grandi padri, sanno avere. Governare quel fuoco che, sotto sotto, arde sempre. Senza limitarsi ad attizzarlo verso capri espiatori: quanto è facile (e pericoloso!) con dei ragazzi chiusi (inferociti!) tra le sbarre.

Risulteresti loro subito amico, «simpatico». Ma di fatto l’inganneresti, ancora una volta. E invece no, tu passavi attraverso la strada, più lunga ma realmente trasformativa, della consapevolezza. Una strada che tra le sbarre è ancora più stretta.

Non sempre ci si riesce, il 90% delle volte si perde. Tu stesso ne hai «persi» di quei ragazzi. Eppure continuavi ad accompagnarli. Da testimone: senza impartire lezioncine dall’alto, ma condividendo, con umiltà e verità, quanto si può. Perché: «pitòst che gnente a l’é men pitòst».

Ed è proprio questa, caro Mecu, la lezione che andrebbe scritta in tutti i libri di pedagogia. Soprattutto se si tratta di – giovani – vite umane. Un «pitòst» piccolo, ma personalizzato, per tutti.

Grazie, perché un «pitost» l’avevi colto anche in me. Non ci vedevamo da dieci anni, eppure, puntualmente, mi mandavi gli auguri il giorno dell’onomastico. Un gesto da nonno: forse perché, tra una chiacchiera frugale e l’altra, ti avevo confidato che un nonno non l’avevo mai avuto. Non ti era sfuggito: le cose davvero importanti le sapevi riconoscere al volo.

Per me, ogni 30 novembre, era un Sms: «Buon onomastico, Andrea. Mecu». Da laico, ti saluto con alcuni versi di questa «smisurata preghiera». La prima pensando ai tuoi ragazzi, da oggi orfani di un padre; la seconda per te.

«…Ricorda Signore questi servi disobbedienti/alle leggi del branco/non dimenticare il loro volto/che dopo tanto sbandare/è appena giusto che la fortuna li aiuti».

«Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria/[…] e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi/per consegnare alla morte una goccia di splendore/di umanità, di verità».

Grazie per le tue «gocce», Mecu. Fai buon viaggio.

Seduto agli ultimi posti, ti troverai sempre in buona compagnia.

– Andrea SILVESTRO

Addio a don Ricca, il prete amico dei ragazzi in carcere – La Voce e il Tempo

Si riporta di seguito la notizia a cura di Marina Lomunno apparsa su La Voce e il Tempo.

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Cosa dire del nostro caro confratello don Mecu? È difficile perché non si può ridurre la vita di una persona a poche righe. Ma scelgo un aspetto tra i tanti.

Il nostro padre don Bosco aveva conosciuto la dura realtà del carcere accanto al suo maestro e guida spirituale san Giuseppe Cafasso e ha vissuto alla ‘Generala’ (oggi l’Istituto penale minorile ‘Ferrante Aporti’) per dire al Signore che avrebbe fatto tutto il possibile per evitare che i ragazzi arrivassero in carcere. Così don Bosco ha fondato il primo oratorio a Valdocco e di lì è partito tutto.

Oggi noi diciamo addio a un figlio di don Bosco, il nostro caro don Mecu, che ha speso tutta la sua vita di salesiano per accompagnare i giovani finiti al ‘Ferrante’ dove don Bosco e tutti noi non avremmo mai voluto entrassero. Don Mecu ha amato veramente i giovani, soprattutto quelli più fragili e lo ha fatto per amore al Signore Gesù e con un cuore che imitava quello di don Bosco.

Sono parole del Rettor Maggiore dei Salesiani, card. Ángel Fernández Artime che, appena appresa la notizia della morte, sabato 2 marzo a 77 anni, di don Domenico Ricca (per tutti Mecu) ci ha scritto un ricordo dello storico cappellano del «Ferrante».

Sacerdote dal 1975, cappellano al «Ferrante» dal 1979 per oltre 40 anni, don Mecu – ha sottolineato don Leonardo Mancini, Ispettore dei salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta che ha presieduto (accanto a don Luigi Ciotti, mons. Giuseppe Anfossi, Vescovo emerito di Aosta e don Mauro Zanini direttore a Valdocco della Comunità San Francesco di Sales e a oltre 100 sacerdoti) mercoledì 6 la Messa funebre nella Basilica gremita di fedeli – «è stato un punto di riferimento a Torino e non solo per tutti coloro che si occupano di disagio giovanile».

E che erano presenti in Basilica sia al rosario che alle esequie tra cui il procuratore dei Minorenni Emma Avezzù, il neo direttore del «Ferrante» Giuseppe Carro, l’ex direttrice Gabriella Piccoeri il cappellano di tutti, al Ferrante tutto parla di te»).

E poi Gianna Pentenero assessore torinese con delega al Carcere in rappresentanza del Sindaco, il direttore del «Lorusso e Cutugno» (che per alcuni anni ha diretto il «Ferrante») Elena Lombardi Vallauri, il giudice minorile Ennio Tomaselli e i garanti dei detenuti di Regione Bruno Mellano e Comune Monica Gallo.

Don Ricca era «prete di strada come devono essere i salesiani» ha ricordato don Francesco Preite, presidente di Salesiani per il Sociale (di cui Mecu fu tra gli ideatori).

Amico di don Ciotti, don Ricca fu tra i fondatori prima della cooperativa sociale Valdocco, dell’associazione «Aporti Aperte» e del Comitato piemontese del Forum del Terzo Settore, Presidente dell’Associazione Amici di don Bosco per le adozioni internazionale, delegato per le Acli e molto altro.

Società civile e mondo del volontariato che hanno reso omaggio ad un prete che amava «chi ha avuto di meno» come lo era don Bosco che proprio alla «Generala» inventa il suo sistema preventivo e gli oratori visitando i «giovani discoli e pericolanti» della Torino dell’Ottocento, che somiglia molto alle periferie di oggi, che frequentavano i santi sociali.

Ed è per questo che da allora i cappellani del «Ferrante» sono salesiani. Come don Mecu che ha speso tutta la sua vita di prete con i giovani reclusi come don Bosco voleva i suoi salesiani, preti da oratorio, preti da cortile.

«In ogni giovane, anche il più disgraziato, c’è un punto accessibile al bene e dovere primo dell’educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore e di trarne profitto» era convinto don Bosco.

Per tutti don Ricca aveva una parola di incoraggiamento, in tutti i suoi giovani riusciva a trovare «quel punto accessibile», anche in quelli nati nella «culla sbagliata» come era solito dire.

Chi scrive ha avuto il privilegio di raccontare in una lunga intervista, in occasione del 200° della nascita di don Bosco, come don Ricca declinava il suo essere salesiano con i giovani detenuti.

Per questo ha scelto di intitolare il libro sulla sua esperienza di salesiano al carcere minorile torinese (i cui proventi dei diritti d’autore sono devoluti interamente per borse di studio e lavoro per i ragazzi ristretti) «Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti» (Marina Lomunno, Elledici, Torino 2015).

Perché è lo stile del sacerdote da oratorio con cui don Mecu stava al Ferrante come ha imparato da giovane prete, a stare in cortile, informalmente a chiacchierare con i ragazzi, anche quando i giovani ristretti si erano macchiati di reati gravi (don Ricca fu anche tutore di Erika, la giovane di Novi Ligure che con il fidanzatino Omar riempì le cronache per molti mesi nel 2001).

Memorabile nel 2015, quando Papa Francesco venne a Torino per la sua visita apostolica in occasione dei 200 anni dalla nascita di don Bosco, fu il pranzo in Arcivescovado con mons. Nosiglia. Il Papa chiese di stare a tavola con alcune famiglie fragili e i minori detenuti e don Ricca portò i suoi ragazzi che donarono a Francesco una maglietta con tutte le loro firme che il Papa autografò.

In una recente intervista per «La Voce e il Tempo» chiesi a don Ricca come oggi don Bosco accosterebbe i «giovani pericolanti». Ecco la sua risposta:

«Don Bosco tornerebbe in prigione, tornerebbe alla Generala… si inventerebbe l’uso dei social. Creerebbe gruppi su Whatsapp e Instagram! È la lezione di don Milani: le forme sono del tempo, ma quello che ci ha lasciato è la voglia di rischiare, di chiedere di più, di non sedersi. Don Bosco manderebbe in carcere i suoi preti e chierici più ardimentosi, giovani, li sosterrebbe anche nelle loro intemperanze. Ma soprattutto sarebbe padre, amico e fratello dei ragazzi reclusi e ripeterebbe anche oggi il suo monito «Amateli i ragazzi. Si otterrà di più con uno sguardo di carità, con una parola di incoraggiamento che con molti rimproveri» perché «tutti i giovani hanno i loro giorni pericolosi, e voi anche li avete. Guai se non ci studieremo di aiutarli a passarli in fretta e  senza rimprovero».

Don Mecu è stato seppellito a Mellea di Fossano dove era nato il 31 agosto 1946. Lascia una sorella suora di San Giuseppe e tre fratelli.

“Non confondiamo i giovani con l’azione delle baby gang” – La Stampa

Si riporta di seguito l’articolo apparso su la Stampa.

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L’invito della comunità salesiana di Fossano dopo recenti fatti di cronaca

Alcuni recenti fatti di cronaca hanno fatto parlare a Fossano della possibile esistenza di baby gang, gruppi di giovani che commettono atti vandalici oppure, come è successo nei pressi della Stazione, aggrediscono un passante.

L’accaduto ha prodotto una riflessione nella comunità salesiana che da decenni si dedica, con il Centro Professionale, i Gruppi e l’Estate Ragazzi, alla formazione dei giovani.

La nota «aperta» ai giornali è nata per la ricorrenza di San Giovanni Bosco.

«È semplicistico e forse anche riduzionistico etichettare questi gruppi – si legge nell’intervento – una cosiddetta baby gang è un gruppo minaccioso, ma all’interno di questo gruppo ci sono singoli giovani molto differenti tra loro e portatori ognuno di un proprio vissuto. Con questo non vogliamo minimamente giustificare questi singoli atti, che consideriamo deplorevoli. Ma davvero questi atti risultano l’unica istantanea possibile dei giovani di oggi?».

I salesiani non ci stanno ad usare come unico filtro della realtà gli episodi di cronaca.

«A fronte dell’illegalità giovanile – continua la nota della comunità guidata dal rettore maggiore don Ángel Fernández Artime –, crediamo che dovremmo diffondere e sostenere l’impegnativa eredità di don Bosco non facendo mancare in una relazione educativa i tre pilastri costituiti da ragione, religione e amorevolezza».

Attualmente frequentano il CNOS-FAP di Fossano più di 500 allievi che, dopo un ciclo triennale, conseguiranno una qualifica professionale che permette sia di inserirsi nel mondo del lavoro sia di proseguire gli studi.

I giovani della formazione professionale fanno volontariato in città.

«Alcune allieve del settore benessere, il corso di estetica, vanno periodicamente alla casa per anziani Monsignor Craveri – proseguono i responsabili – per prendersi cura degli ospiti della struttura. C’è poi la collaborazione tra alcune classi del settore benessere-acconciatura e la coop il Ramo. In un paio di occasioni all’anno, alcuni nostri allievi, accompagnati dai formatori, si impegnano nella pulizia delle strade. Di questi, alcuni costituiscono il gruppo dei volontari nella gestione dell’attività del doposcuola».

«Il panorama giovanile – conclude la nota – non può essere limitato a un unico fermo immagine, ma può e deve essere compreso anche dal punto di vista dello spendere tempo assieme: questa è un’altra faccia dei giovani che merita di essere conosciuta».

La Voce e il Tempo: Don Bosco in Val di Lanzo e il Sindaco Lo Russo a Valsalice

Si publicano di seguito gli articoli apparsi su La Voce e il Tempo.

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Don Bosco in Val di Lanzo

Negli anni ’60 del 1800 don Bosco porta la sua missione fuori Torino, anzitutto in Piemonte (Mirabello Monferrato e Lanzo Torinese) e in Liguria (Alassio).

In breve tempo, nuove case salesiane si aprono nel Canavese (San Benigno), nella Liguria (Varazze, Sampierdarena, Vallecrosia, La Spezia), in Toscana (Firenze), nella Romagna (Faenza), a Roma e nel Lazio, nel Veneto (Este, Mogliano), in Sicilia (Randazzo, Catania).

Sono gli anni nei quali nasce il Regno d’Italia (1861), che grazie alla spedizione dei Mille e ai plebisciti, si estende dal Piemonte alla Sicilia. Nel 1874 parte da Torino la prima spedizione missionaria per l’Argentina.

Fin dal 1842 don Bosco frequenta il santuario di Sant’Ignazio sopra Lanzo. L’amico don Cafasso lo invita di solito in occasione degli esercizi spirituali organizzati per i laici. Don Bosco «non mancò mai d’andarvi ogni anno fino al 1875. Per molti anni fece quel viaggio a piedi, partendo da Torino alle 3 del mattino e arrivando a Sant’Ignazio verso le 10 antimeridiane» (G. Battista Lemoyne, «Memorie biografiche di don Giovanni Bosco», vol. II, p. 142). Morand Wirth spiega: «Don Bosco avvertiva la necessità di una mobilitazione dei laici, fossero essi cristiani nel mondo o veri religiosi con voti. Egli aveva attinto questo interesse per i laici negli insegnamenti del Convitto e in particolare in quelli di Giuseppe Cafasso» («Da don Bosco ai nostri giorni», p. 134).

«A Sant’Ignazio e con don Cafasso – continua il Lemoyne – don Bosco si trovava come a casa sua. Meditava sopra se stesso col ritiro spirituale, confessava molti dei convenuti agli esercizi e, col suo benefattore e maestro, prendeva la decisone risoluta di por mano al principio della sua pia Società» («Memorie biografiche», vol. III, p. 537). Il beato Federico Albert, parroco di Lanzo, ammiratore di don Bosco e della sua azione educativa, propose al Comune di affidargli il collegio che occupava l’antico convento dei Cappuccini, soppresso nel 1802 da Napoleone. Nel 1864 vi iniziarono le scuole elementari e l’anno seguente il ginnasio.

Gli alunni, provenienti anche dai paesi vicini e dalle valli, furono presto 300. Nel 1876 la ferrovia Torino – Ciriè venne prolungata fino a Lanzo Torinese. Il 6 agosto, per l’inaugurazione, il sindaco offrì un ricevimento ufficiale al Collegio. Erano presenti il presidente del Consiglio dei ministri, Agostino Depretis, e altre personalità.

«Fece un gran rumore il suo incontro con parecchi ministri, senatori e deputati a Lanzo per l’inaugurazione di quella ferrovia. Permise al municipio di fare il ricevimento ufficiale al Collegio; anzi, volle trovarcisi egli pure e s’intrattenne a lungo e familiarmente con quei personaggi, tutti liberaloni e più o meno mangiapreti. Alcuni buoni cristiani se ne scandalizzarono; ma egli nell’intimità si difese dicendo: ‘Costoro non si sentono mai dire una parola col cuore, né una verità detta in modo da non inasprirli. Io li ho ricevuti cordialmente e ho detto loro col cuore alla mano quanto l’occasione mi suggeriva, ed anche quelle verità che senza offenderli potevo dir loro, le ho dette tutte e nella maniera più schietta’» (Eugenio Ceria, «Annali della Società salesiana», vol. I, p. 732).

Il Collegio di Lanzo per don Bosco era la casa del cuore. Esso è stato operante fino al 1997. L’edificio è ora residenza sanitaria assistenziale, mentre i salesiani continuano il loro servizio nella parrocchia e nell’oratorio.

L’anno seguente a Mathi, lungo la linea ferroviaria di Lanzo, veniva messa in vendita una cartiera. Don Bosco, che oltre alla tipografia di Valdocco aveva di recente avviato quella di Genova Sampierdarena, l’acquistò e mandò a dirigerla un coadiutore salesiano.

«Il suo obiettivo era ben più ampio: progettava di gestire in proprio l’intero ciclo della produzione editoriale, proponendosi come editore cattolico a tutto tondo nel momento in cui, all’indomani dell’Unità d’Italia, la battaglia della carta stampata sembrava essere entrata nel vivo» (Federico Valle, «A Mathi e Nole sui passi di don Bosco», p. 8).

Nel 1884 si tenne a Torino l’Esposizione nazionale dell’industria, della scienza e dell’arte. Tra gli espositori ci fu anche don Bosco. «Il visitatore, appena messo piede nella galleria appositamente costruita, scorgeva con un colpo d’occhio una fila di macchine in moto, presso le quali giovani silenziosi, applicati e sereni attendevano ognuno a fare la parte sua».

Nel padiglione «si assisteva al graduale svolgersi di tutte le operazioni, per cui da un mucchio di miseri cenci si passa alla confezione della carta, alla stampa dei fogli, alla rilegatura e allo spaccio di libri» (E. Ceria, «Annali», p. 688).

In seguito, don Bosco portò a Mathi la casa di formazione dei cosiddetti ‘figli di Maria’, ossia le vocazioni adulte, e vi aprì la Casa Chantal, affidata alle Figlie di Maria Ausiliatrice, per accogliere le madri rimaste sole.

Oltre a un oratorio, a Mathi le suore salesiane tenevano ben due convitti per giovani operaie e un asilo infantile. Originario di Mathi è don Giulio Barberis, uomo di fiducia di don Bosco, che gli affidò la formazione dei novizi salesiani.

Vicino a Mathi è Nole Canavese, patria di don Domenico Machetta, noto compositore musicale e fondatore della Fraternità di Nazaret.

-Francesco MOSETTO

Lo Russo a Valsalice

Nella festa di don Bosco, lo scorso 31 gennaio, il Sindaco Stefano Lo Russo ha fatto visita all’Istituto salesiano Valsalice di Torino.

Lo Russo, ex allievo dell’Istituto salesiano Agnelli, ha incontrato gli allievi del Valsalice nel teatro della scuola dove si è tenuto un interessante dibattito con gli studenti.

C’era grande curiosità da parte dei ragazzi per un uomo che ha un incarico importante per la città. «Bisogna avere la capacità di mettersi nei panni altrui e vedere la complessità delle situazioni tenendo conto delle numerose variabili», ha detto Lo Russo agli studenti.

Tutto ha inizio con la candidatura in Comune nel 2006 fino all’attività politica a tempo pieno nel 2021, sempre segnata da una passione di fondo per l’insegnamento: Stefano Lo Russo è, infatti, professore ordinario di Geologia applicata al Politecnico.

«Torino è una città con numerose potenzialità, tuttavia è rallentata da diverse problematiche», ha proseguito il sindaco. Tra queste l’inquinamento, causato dalla difficoltosa circolazione dell’aria.

«Il tema della sostenibilità è importante e si sta lavorando sui settori dell’edilizia e dei trasporti, principali fonti di inquinamento», ha evidenziato.

«Torino sta cambiando pelle dal punto vista demografico ed etnico, influenzando anche l’ambito scolastico».

Così il sindaco ha introdotto i temi della scuola e della formazione, sui cui occorre un investimento prioritario, sottolineando come l’obiettivo della città sia quello di caratterizzare gli Atenei cittadini di un’offerta formativa che riesca a includere e stimolare tutti.

Inoltre ha evidenziato l’importanza del ruolo che i giovani hanno nella società, invitandoli a prendere parte all’impegno collettivo, sia dal punto di vista sociale che politico.

Soffermandosi sul diritto di voto, ha poi offerto un consiglio agli studenti:

«informatevi in modo da trovare il filone più vicino alle vostre idee».

-Cecilia BUSSI, Martina CARANGELLA, Giulia MILANETTO

Progetto “Recuperando”: Alessandria contro lo spreco alimentare – Il Piccolo

Si riporta di seguito l’articolo apparso su Il Piccolo.

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Casa di Quartiere-Comunità San Benedetto, Cooperativa Coompany&, CNOS-FAP, Opere di Giustizia e Carità Ets, Cooperativa Il Pane e le Rose e Cissaca in campo insieme a Comune e Amag Ambiente.

Si chiama “Recuperando” il progetto sperimentale che vede coinvolti diversi soggetti pubblici e del privato sociale. Obiettivo, prevenire e combattere lo spreco alimentare. Il che, nella celebrazione della Giornata mondiale che cade proprio oggi, è missione nobile. Che si sta portando avanti insieme a Palazzo Rosso e Amag Ambiente.

In campo ci sono Casa di Quartiere-Comunità San Benedetto, Cooperativa Coompany&, CNOS-FAP, Opere di Giustizia e Carità Ets, Cooperativa Il Pane e le Rose e Cissaca. Realtà che stanno lavorando e collaborando da ormai un anno al piano. Sostenuto dalla Compagnia di San Paolo per mettere in campo azioni trasversali e di sensibilizzazione sui temi dello spreco e dei sistemi del conferimento differenziato dei rifiuti.

Cosa fa “Recuperando”

Parliamo di un percorso – racconta la dottoressa Paola Vigna, referente di ‘Recuperando’ – che promuove sistemi urbani in grado di ridurre lo spreco. Abbattere le quantità in conferimento rifiuti. Sostenere il riutilizzo di beni di prima necessità che finirebbero altrimenti nelle discariche cittadine. Per costruire e realizzare questo servizio, che potrebbe diventare un modello urbano virtuoso, la rete degli enti del Terzo settore sta implementando un monitoraggio in tempo reale della raccolta (e distribuzione-trasformazione) di cibo, alimenti e abbigliamento. Stiamo realizzando un sistema capace di rilevare i dati dei beni conferiti . Suddividendoli in quelli da scartare, riutilizzare o distribuire”.

Le realtà in campo

La Bottega dell’Abbigliamento di Second Life, in via Sant’Ubaldo 7, può essere utilizzata per le famiglie numerose e per le donne sole con figli. Trovando così uno spazio di socializzazione in città. E la distribuzione gratuita degli abiti avviene tutti i giovedì proprio in Casa di Quartiere.

La Fondazione Opere di Giustizia e Carità ha invece inaugurato a febbraio 2023 un Emporio solidale. Obiettivo, dare un sostegno parziale a oltre 300 famiglie in condizioni di disagio economico. L’offerta è strutturata in modo da porre l’attenzione su un paniere di prodotti (igiene casa, igiene personale e prodotti alimentari-freschi e a lunga conservazione). Il punto si trova in via delle Orfanelle 25. Ed è aperto da lunedì a giovedì dalle 15.30 alle 17.30. A partire dall’1 marzo aprirà pure il venerdì dalle 14.30 alle 16.

Il Cissaca, dal canto suo, può segnalare famiglie e orientare diversi utenti. In modo che si rafforzi e ampli la rete utile tra domanda e offerta di beni da distribuire. E per raccogliere eventuali segnalazioni in arrivo da alcune situazioni di fragilità.

Il Comune, dal canto suo, è impegnato nel seguire il processo di sviluppo di questa progettazione. E con il sistema scolastico locale  aiuterà a capire come ridurre gli sprechi del cibo nei circuiti scolastici e delle mense cittadine. Inoltre, sta collaborando per promuovere altri sistemi premiali per chi dimostra concreta sensibilità e adesione all’obiettivo.

I dati

Nel corso del 2023, attraverso il supporto di CNOS-FAP, si sono attivati due tirocini retribuiti. Che hanno coinvolto due ragazze di Alessandria nel progetto.

Sempre durante tutto l’anno, i beni conferiti dai cittadini e da imprese commerciali sono stati complessivamente:

  • 30 tonnellate e 782 kg di alimenti e cibo (recuperati e redistribuiti)
  • 13 tonnellate e 706 chilogrammi di abbigliamento, abiti e accessori (recuperati e redistribuiti)

Un anno fa, all’inizio del progetto, insieme a Caritas rilevavamo circa 21,6 tonnellate raccolte tra alimenti e vestiario/abbigliamento. Oggi la loro somma è di più di 35 tonnellate. I dati sono rilevati attraverso il monitoraggio nel Sistema Nazionale Bring the Food (Btf), la pesature giornaliera dei ricevimenti in loco, la distribuzione alle famiglie, la contabilizzazione del conferito in smaltimento (in accordo con Amag Ambiente). E siamo solo al primo anno di sperimentazione. Dai dati e dagli elementi in nostro possesso queste cifre possono salire e ancora di molto. Specie se si pensa che ad Alessandria i Rsu (Rifiuti Solidi Urbani) sono di più di 27.600 tonnellate. Di cui 1.100 recuperabili (con circa 918 tonnellate di organico”.

Make the difference, edizione 2024

L’intero percorso di “Recuperando” porterà all’edizione 2024 di Make the difference.

Sarà un’edizione focalizzata sulla necessità di moltiplicare le buone pratiche quotidiane. E a ogni livello: cittadini, enti pubblici, imprese, associazioni e scuole per arrivare insieme alla meta. A partire dalla prevenzione e riduzione dello spreco alimentare nelle case, nella filiera di produzione, distribuzione e commercio del cibo. E, anche, nella ristorazione, nelle mense, nei comportamenti e nelle abitudini di acquisto, gestione e conservazione degli alimenti. Consapevoli delle strette implicazioni fra spreco alimentare e impatto ambientale”.

L’obiettivo comune – conclude la referente – è poi quello di prevenire lo spreco. E intervenire, quindi, in tutte quelle fasi o processi che accadono prima che il cibo o le risorse divengano rifiuto”.

«Ragazzi, vi racconto la guerra» – La Voce e il Tempo

Si riporta di seguito l’articolo apparso su La Voce e il Tempo a cura di Marina Lomunno.

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Scuole di Valdocco – Lucia Castellino, 97 anni, ha raccontato agli studenti di Terza Medie e del biennio delle scuole professionali la tragedia dell’occupazione nazista

La storia si impara sui libri, ma quando in cattedra sale un protagonista delle vicende che il professore ti ha spiegato a lezione l’interrogazione sicuramente andrà bene. E soprattutto, la storia avrà svolto la sua missione di «maestra di vita» (historia magistra vitae…): così sarà per i ragazzi e le ragazze di Terza Media della Scuola Valdocco e del biennio delle Scuole professionali salesiane che giovedì scorso, in occasione della Giornata della Memoria, hanno ascoltato «senza far volare una mosca» la testimonianza della signora Lucia Castellino, 97 anni.

«Nonna Lucia» ha spiegato con lucidità impressionante una pagina della Seconda guerra mondiale, «una brutta bestia», vissuta quando era coetanea degli studenti che hanno gremito la Sala Sangalli a Valdocco, incalzata dalle domande di Davide Sordi, preside della Scuola Media «Don Bosco» e di Giuseppe Puonzo, responsabile della comunicazione CNOS-FAP Piemonte.

Non è la prima volta che la signora Lucia rievoca la «brutta bestia» come ha ripetuto più volte: è stata invitata dal Centro professionale salesiano di Fossano e volentieri, accompagnata dalla figlia a Valdocco, «è ritornata ragazza».

«Sono nata in una frazione di Peveragno a sei chilometri da Boves in provincia di Cuneo e avevo la vostra età quando i tedeschi con i cappotti lunghi e grigi, gli elmetti e gli stivali neri hanno bruciato il mio paese. Mio fratello era in Russia ed è tornato con i piedi congelati; l’altro mio fratello non l’abbiamo più visto e mia cognata è rimasta vedova con due bambini. Arrivavano dalla città tanti sfollati, non avevamo molto da mangiare, ma li aiutavamo come potevamo».

E ancora:

«Nel mio paese nessuno ha fatto la spia con le SS per segnalare se c’erano persone ebree… Sento ancora le bombe in lontananza, le grida dei tedeschi, le donne che tornavano dalla città piangendo perché dal fronte non arrivano notizie dei mariti che non sarebbero più tornati. Avevamo fame tutto era razionato c’erano le tessere annonarie. Sapete cosa sono? Che brutta bestia la guerra! Oggi non riesco a guardare il telegiornale: non avrei mai detto a quest’età di avere di nuovo la guerra vicina. Dopo quello che ho visto, tanti morti, famiglie decimate, orfani: l’umanità non ha imparato nulla… poveri ragazzi».

La signora Lucia racconta «la pagina più triste» della Seconda guerra mondiale vissuta in Italia.

«Un giorno abbiamo sentito per radio che era stato proclamato l’armistizio. Era una bella parola ‘armistizio’, significa ‘fine della guerra’: invece per noi di Peveragno e di Boves iniziò la tragedia: arrivavano in paese soldati allo sbando, altri salivano in montagna, i tedeschi non se ne andavano»

ricorda Lucia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, cominciano a nascere le prime formazioni partigiane: ed è proprio a Boves, dove è nata una delle prime unità partigiane, che i nazisti si macchiarono della prima strage in Italia, il 19 settembre 1943, un massacro di civili innocenti.

Era una domenica: un gruppo di partigiani sceso in paese si imbatte in due soldati tedeschi della divisione SS Leibstandarte «Adolf Hitler» che li fa prigionieri. Sono gli uomini di Ignazio Vian, uno degli ufficiali che dopo l’armistizio dell’8 settembre hanno di combattere contro i tedeschi, rifugiandosi sulle montagne.

Le SS al comando di Theodor Wisch e di Joachim Peiper, occupano Boves: pretendono la restituzione dei prigionieri e convocano le autorità del paese. Si presenta solo il parroco don Giuseppe Bernardi insieme a un imprenditore, Antonio Vassallo: li costringono a salire sulle montagne per trattare con i partigiani. Se non verranno liberati i due tedeschi, Boves sarà bruciata.

Don Bernardi chiede di mettere nero su bianco l’impegno di risparmiare il paese in cambio dei due soldati. Peiper si indigna: non si discute la parola (che non sarà rispettata) di un ufficiale tedesco! Il parroco e Vassallo convincono i partigiani a consegnare gli ostaggi, ma i nazisti infrangono l’accordo e Boves viene data alle fiamme, muoiono 23 civili. Tra le vittime anche il giovane vice parroco don Mario Ghibaudo, 23 anni: lo uccidono mentre benedice un moribondo. Il parroco e Antonio Vassallo vengono bruciati vivi.

Ma non finisce qui, rammenta Lucia: tra il 31 dicembre 1943 e il 3 gennaio 1944, durante un rastrellamento per stanare i partigiani, i nazisti bruciano di nuovo Boves: 59 vittime. Il 26 aprile 1945, all’indomani della liberazione, i tedeschi in ritirata si accaniscono ancora sui bovesini uccidendone 9. Per questi eccidi Boves è stata insignita delle medaglie d’oro al valor civile e al valor militare e i due sacerdoti sono stati proclamati beati.

«Ma anche Peveragno abbiamo avuto la nostra strage nazi-fascista» conclude Lucia, «furono trovati tre soldati tedeschi morti e il 10 gennaio 1944, i nazi-fascisti ammazzano 30 peveragnesi. Oggi sono ricordati in piazza 30 Martiri».

Una lezione di vita che rimarrà impressa nella memoria dei ragazzi, che dopo l’incontro, invitati dai professori, hanno scritto su un cartellone le loro impressioni:

«La guerra è bruttissima e può provocare solo danni»; «sono felice che qualcuno possa raccontarci ciò che ha vissuto, anche cose brutte»; «ho riflettuto sul fatto che noi ci lamentiamo spesso senza pensare che ci sono persone che alla nostra età erano più sfortunate»; «ho capito che senza guerre il mondo sarebbe un posto migliore per tutti»; «le nonne sono preziose»; «sono rimasta colpita dal fatto che Lucia non si sia scoraggiata e che ancora oggi abbia la forza di raccontare»; «ho capito che la guerra non serve a niente!»; «io alla sua età non sarei riuscita ad affrontare così la guerra»; «ho capito quanto si soffre quando di due fratelli ne torna solo uno»; «abbiamo finalmente compreso come funziona la guerra e che non è la soluzione, non serve a niente»; «bisogna portare rispetto a tutti coloro che hanno difeso la nostra patria»; «sentire persone che hanno avuto morti in famiglia per la guerra fa riflettere». «Per evitare la guerra bisogna ricordare». «Stop war, amore e pace».

Don Jimmy: “Troppa povertà in Aurora, non lasciateci soli. Porto al mare chi a 17 anni non l’ha mai visto” – La Stampa

Si riporta di seguito l’articolo apparso su La Stampa.

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Il parroco dell’oratorio Valdocco alla festa per San Giovanni Bosco: “Sosteniamo le famiglie, ma serve di più”.

“Ti racconto una storia, ma non citare il nome del ragazzo: mi ha chiesto di non dirlo”.

È quella di un 17enne che, dopo anni di vita in oratorio, ha l’occasione di partire con i suoi amici per una gita comunitaria a Napoli:

“È uno dei nostri animatori. Il giorno della partenza si avvicina a me con le lacrime agli occhi e mi confessa: grazie, io non ho mai visto il mare”.

La storia è simile a quella di tanti ragazzi del quartiere Aurora che frequentano l’oratorio Valdocco, “la casa di Don Bosco”, che

“Non hanno mai messo piede fuori da Torino”.

Jimmy Muhaturukundo, parroco di 37 anni, “Don Jimmy” per tutti quelli che lo salutano – e non ce n’è uno, su quaranta bambini che lo hanno fermato durante la passeggiata, di cui non sappia il nome, la storia, i volti dei genitori – ha scelto di dedicare la sua vita ai giovani del quartiere.

Lo fa come responsabile dell’oratorio che ogni giorno si apre alle famiglie della zona, offrendo servizi che mancano o che nessuno avrebbe i soldi per ottenere: doposcuola, lezioni di italiano, corsi di basket, anche una semplice cena.

“Vuoi fare un favore all’umanità? Educa. Lo predicava anche Don Bosco”

racconta, concedendosi l’unico riferimento strettamente ecclesiastico della passeggiata. È sul Santo che ieri ha attirato oltre seicento giovani da tutto il Nord Ovest nella chiesa Maria Ausiliatrice per la messa in occasione della festa a lui dedicata.

Il resto delle due ore passate insieme, invece, è una lezione di “misericordia, solidarietà“. La Chiesa è “solo” lo strumento: uno degli unici presenti nel quartiere.

Parroco, l’oratorio è sempre così pieno di bambini?

“Oggi c’è la festa di Don Bosco, ma ogni pomeriggio qui è così. Le famiglie del quartiere si affidano a noi, non sapendo dove altro andare, per accudire i propri figli”.

Troppa povertà?

Sì, anche educativa. Noi la sfidiamo con due scuole, la Media e il Centro di Formazione Professionale, oltre ai tanti corsi qui in oratorio: dal basket ai rudimenti di italiano, cerchiamo di aiutare. Ma non basta”.

Siete soli? Le istituzioni non aiutano?

“Col Comune abbiamo avviato il progettoCam”: i centri sociali ci affidano nuclei familiari in forte difficoltà e noi portiamo i loro giovani in un contesto dove possano interagire, insegnando loro qualcosa. Grazie alla nostra rete di donatori, poi, portiamo i ragazzi fuori Torino, dalla gita all’acquario di Genova alle settimane comunitarie. Da poco, poi, abbiamo avviato il progetto Spera, ispirati sempre da uno dei nostri giovani che ci ha chiesto aiuto per il suo percorso di studi. Paghiamo l’Università a chi sogna un futuro diverso ma non se lo può permettere. Ma ripeto: non basta”.

Cosa serve?

Fare rete, anche con la politica, certo. Ma in generale, con la città. Noi cerchiamo di essere una risorsa e un’ispirazione. Poi certo, servono anche più volontari“.

Sembra avere un bel gruppo di giovani che la aiutano.

“Ce ne sono quaranta, ma sa a quanti bambini offriamo il servizio di doposcuola? Centoventi, e altri 40 sono in lista di attesa. Perché i volontari gestiscono anche i corsi di basket, pallavolo, le lezioni di italiano, le attività ludiche in oratorio. Centinaia di bambini ogni giorno. Ci sono famiglie che non riuscirebbero a pagare neanche 50 euro all’anno per servizi che, fuori da qui, costerebbero 50 euro al giorno”.

Va anche a casa loro?

“È capitato. E ci sono famiglie di ogni tipo: c’è chi ha perso il posto e chi lavora ma è soffocato dalle spese. C’è chi è appena arrivato da Paesi lontani, come me che nel 1994 sono scappato insieme a don Giuseppe Minghetti, scomparso due anni fa, dal genocidio in Ruanda. Ma sono tante anche le famiglie italiane. In questo quartiere multietnico la povertà ha investito sempre più persone, nel corso degli anni”.

Dove porta i ragazzi, alla prossima gita?

“Ora a messa (sorride, ndr). Ma presto faremo un pomeriggio al cinema: in tanti non sono mai stati neanche lì…”

La Stampa, intervista al Papa: “Don Bosco ha cambiato un po’ la storia. Anche con riflessioni culturali. E pure attraverso conversazioni con chi lo contrastava”

In una intervista rilasciata a Domenico Agasso de La Stampa, il Papa ha parlato anche di Don Bosco.

Il 31 gennaio è la festa di don Giovanni Bosco, «il Santo dei giovani»: che cosa insegna ancora oggi?

«Pare che una volta don Bosco abbia detto: “Se volete avere e aiutare dei giovani buttate un pallone sulla strada”. Il fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice è stato capace di chiamare, coinvolgere ed entusiasmare i ragazzini senza futuro, e dare loro un futuro. Come? Con gli oratori. Lì i giovani giocavano, pregavano e imparavano. Per migliaia di piccoli abbandonati, disperati, destinati a un’esistenza di stenti e di esclusione, don Bosco ha tracciato la via di un avvenire di dignità e speranza. Ha fornito loro gli strumenti intellettuali e spirituali per superare gli ostacoli e valorizzare la propria vita. E ci è riuscito nonostante attacchi feroci: non dimentichiamoci che il Santo di Valdocco ha vissuto nell’epoca del Piemonte massonico e mangiapreti, e in quell’ambiente ostile è stato capace di trasformare in meglio l’atteggiamento sociale del territorio nei confronti dei giovani. Don Bosco ha cambiato un po’ la storia. Anche con riflessioni culturali. E pure attraverso conversazioni con chi lo contrastava».

L’intervista poi ha trattato i temi di attualità, la guerra, la pace e i giovani:

Santità, il mondo è nel pieno della «guerra mondiale a pezzi» da cui Lei aveva messo in guardia anni fa…
«Mai mi stancherò di ribadire il mio appello, rivolto in particolare a chi ha responsabilità politiche: fermare subito le bombe e i missili, mettere fine agli atteggiamenti ostili. In ogni luogo. La guerra è sempre e solo una sconfitta. Per tutti. Gli unici che guadagnano sono i fabbricanti e i trafficanti di armi. È urgente un cessate il fuoco globale: non ci stiamo accorgendo, o facciamo finta di non vedere, che siamo sull’orlo dell’abisso». Esiste una «guerra giusta»? «Bisogna distinguere e stare molto attenti ai termini. Se ti entrano in casa dei ladri per derubarti e ti aggrediscono, tu ti difendi. Ma non mi piace chiamare “guerra giusta” questa reazione, perché è una definizione che può essere strumentalizzata. È giusto e legittimo difendersi, questo sì. Ma per favore parliamo di legittima difesa, in modo da evitare di giustificare le guerre, che sono sempre sbagliate».

Come descrive la situazione in Israele e Palestina?

«Adesso il conflitto si sta drammaticamente allargando. C’era l’accordo di Oslo, tanto chiaro, con la soluzione dei due Stati. Finché non si applica quell’intesa, la pace vera resta lontana». Che cosa teme più di tutto? «L’escalation militare. Il conflitto può peggiorare ulteriormente le tensioni e le violenze che già segnano il pianeta. Però allo stesso tempo in questo momento coltivo un po’ di
speranza, perché si stanno svolgendo riunioni riservate per tentare di arrivare a un accordo. Una tregua sarebbe già un buon risultato». Come sta agendo la Santa Sede in questa fase degli scontri in Medio Oriente? «Una figura cruciale è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini. È un grande. Si muove bene. Sta provando con determinazione a mediare. I cristiani e la gente di Gaza – non intendo Hamas – hanno diritto alla pace. Io tutti i giorni videochiamo la parrocchia di Gaza. Ci vediamo nello schermo di Zoom, parlo alla gente. Lì in parrocchia sono 600 persone. Stanno continuando la loro vita guardando ogni giorno la morte in faccia. E poi, l’altra priorità è sempre la liberazione degli ostaggi israeliani».

E come procede la diplomazia vaticana sul fronte del conflitto in Ucraina?

«Ho dato l’incarico di questa missione complicata e delicata al cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana: è bravo ed esperto, sta attuando una costante e paziente opera diplomatica per mettere da parte le conflittualità e costruire un’atmosfera di riconciliazione. È andato a Kiev e a Mosca, e poi a Washington e a Pechino. La Santa Sede sta cercando di mediare per lo scambio di prigionieri e il rientro di civili ucraini. In particolare stiamo lavorando con la signora Maria Llova-Belova, la commissaria russa ai diritti dell’infanzia, per il rimpatrio dei bambini ucraini portati con la forza in Russia. Qualcuno è già tornato nella sua famiglia».

Quali sono i pilastri su cui costruire la pace nel mondo?

«Dialogo. Dialogo. Dialogo. E poi, la ricerca dello spirito di solidarietà e fraternità umana. Non possiamo più ucciderci tra fratelli e sorelle! Non ha senso!».

Lei invita sempre alla preghiera: quanto conta e può incidere mentre il mondo brucia?

«La preghiera non è astratta! È una lotta con il Signore affinché ci dia qualcosa. La preghiera è concreta. E forte, e incisiva. La preghiera conta! Perché prepara il cammino verso una pacificazione, bussa alla porta del cuore di Dio affinché illumini e conduca gli esseri umani verso la pace. La pace è un dono che Dio può darci anche quando sembra che la guerra stia prevalendo  inesorabilmente. Per questo insisto in ogni occasione: bisogna pregare per la pace».

Lei a Lisbona, la scorsa estate, di fronte a milioni di giovani ha gridato con forza che la Chiesa è per «todos, todos todos»: rendere la Chiesa aperta a tutti è la grande sfida del suo pontificato?

«È la chiave di lettura di Gesù. Cristo chiama tutti dentro. Tutti. C’è proprio una parabola: quella del banchetto nuziale al quale nessuno si presenta, e allora il re manda i servi “ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Il Figlio di Dio vuole far capire che non desidera un gruppo selezionato, un’élite. Poi qualcuno magari entra “di contrabbando”, ma a quel punto è Dio a occuparsene, a indicare il percorso. Quando mi interrogano: “Ma possono entrare pure queste persone che sono in tale inopportuna situazione morale?”, io assicuro: “Tutti, l’ha detto il Signore”. Domande come questa mi arrivano soprattutto negli ultimi tempi, dopo alcune mie decisioni…».

In particolare la benedizione delle «coppie irregolari e dello stesso sesso»…

«Mi chiedono come mai. Io rispondo: il Vangelo è per santificare tutti. Certo, a patto che ci sia la buona volontà. E occorre dare istruzioni precise sulla vita cristiana (sottolineo che non si benedice  l’unione, ma le persone). Ma peccatori siamo tutti: perché dunque stilare una lista di peccatori che possono entrare nella Chiesa e una lista di peccatori che non possono stare nella Chiesa? Questo non è Vangelo».

Durante la seguitissima intervista televisiva a Fabio Fazio nella trasmissione Che Tempo Che Fa ha parlato del prezzo della solitudine che deve pagare dopo un passo come questo: come sta vivendo la levata di scudi di chi insorge?

«Chi protesta con veemenza appartiene a piccoli gruppi ideologici. Un caso a parte sono gli africani: per loro l’omosessualità è qualcosa di “brutto” dal punto di vista culturale, non la tollerano. Ma in generale, confido che gradualmente tutti si rasserenino sullo spirito della dichiarazione “Fiducia supplicans” del Dicastero per la Dottrina della Fede: vuole includere, non dividere. Invita ad accogliere e poi affidare le persone, e affidarsi, a Dio».

Soffre per la solitudine?

«La solitudine è variabile come la primavera: in quella stagione puoi trascorrere una giornata bellissima, con il sole, il cielo azzurro e una brezza piacevole; 24 ore dopo magari il clima ti incupisce. Tutti viviamo solitudini. Chi dice “io non so che cos’è la solitudine” è una persona acui manca qualcosa. Quando mi sento solo innanzitutto prego. E quando percepisco tensioni attorno a me, provo con calma a instaurare dialoghi e confronti. Ma vado comunque sempre avanti, giorno dopo giorno».

Teme uno scisma?

«No. Sempre nella Chiesa ci sono stati gruppetti che manifestavano riflessioni di colore scismatico… bisogna lasciarli fare e passare… e guardare avanti».

Siamo all’alba di una nuova era segnata dall’Intelligenza artificiale: quali sono le sue speranze e le sue preoccupazioni?

«Qualsiasi novità scientifica e tecnologica deve avere carattere umano, e permettere agli esseri umani di rimanere pienamente umani. Se si perde il carattere umano si perde l’umanità. Nel Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali ho scritto: “In quest’epoca che rischia di essere ricca di tecnica e povera di umanità, la nostra riflessione non può che partire dal cuore umano”. L’Intelligenza artificiale è un bel passo in avanti che potrà risolvere molti problemi, ma potenzialmente, se gestita senza etica, potrà anche provocare tanto male all’uomo. L’obiettivo da porsi è che l’Intelligenza artificiale sia sempre in armonia con la dignità della persona. Se non ci sarà quest’armonia, sarà un suicidio».

Dio troverà ancora posto in mezzo ai robot?

«Dio c’è sempre. Lui si arrangia. È sempre vicino a noi, pronto ad aiutarci, anche quando non ce ne accorgiamo. Anche quando non lo cerchiamo. Anche quando non lo vogliamo. E se vede che le
derive sono sfrenate, si fa sentire. Nei suoi modi, che superano tutto e tutti».

Come va la sua salute?

«Qualche acciacco c’è, ma adesso va meglio, sto bene».

Le dà fastidio sentire parlare delle sue possibili dimissioni a ogni colpo di tosse?

«No, perché la rinuncia è una possibilità per ogni pontefice. Ma adesso non ci penso. Non mi inquieta. Se e quando non ce la farò più, inizierò eventualmente a ragionarci. E a pregarci su».

Quali potrebbero essere i suoi viaggi del 2024?

«Uno in Belgio. Un altro a Timor Est, Papua Nuova Guinea e Indonesia, ad agosto. Poi c’è l’ipotesi Argentina, che però tengo per adesso “tra parentesi”: l’organizzazione della visita non è ancora cominciata. Per quanto riguarda l’Italia, andrò a Verona a maggio, e a Trieste a luglio».

Il neo presidente argentino Javier Milei l’ha attaccata più volte e con irruenza in questi mesi: si è sentito offeso?

«No. Le parole in campagna elettorale vanno e vengono».

Lo incontrerà?

«Sì. L’11 febbraio verrà alla canonizzazione di “Mama Antula”, fondatrice della Casa per Esercizi spirituali di Buenos Aires. Prima delle canonizzazioni è consuetudine il saluto con le autorità in sacrestia. E poi so che ha chiesto appuntamento per un colloquio con me: ho accettato, e dunque ci vedremo. E sono pronto a iniziare un dialogo – parola e ascolto – con lui. Come con tutti».

Perché ha istituito la Giornata mondiale dei Bambini?

«Perché mancava. Ne percepivo il bisogno. A novembre abbiamo realizzato quell’incontro con migliaia di bimbi e ragazzini giunti da tutto il pianeta nell'”Aula Paolo VI”: è andato molto bene. Il 25 e 26 maggio a Roma ci sarà la prima Giornata ufficiale. Lo scopo è suscitare meditazioni e azioni per rispondere ai quesiti: “Che tipo di mondo desideriamo lasciare ai bambini che stanno crescendo? Con quali prospettive?”. Se li ascoltiamo e li osserviamo, i bambini sono maestri di vita per noi adulti e anziani, perché sono puri, genuini e spontanei. Ogni loro comportamento, anche quello più complicato e apparentemente indecifrabile, è una lezione. Se ci impegniamo per il loro bene, faremo del bene a noi stessi. E all’umanità intera».

Qual è il suo sogno per la Chiesa che verrà?

«Seguire la bella definizione della “Dei Verbum”, la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II: “Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans”, ascoltare religiosamente la Parola di Dio e proclamarla con ferma fiducia, e con forza. Sogno una Chiesa che sappia essere vicina alla gente nella concretezza e nelle sfumature e nelle asperità della vita quotidiana. Io continuo a pensare ciò che ho detto nelle Congregazioni generali, le riunioni dei cardinali che precedono il Conclave: “La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e a dirigersi verso le periferie, non solo quelle geografiche ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria”».

Che cosa ricorda delle giornate storiche del marzo di undici anni fa?

«Dopo il mio intervento è scattato un applauso, inedito in tale contesto. Ma io assolutamente non avevo intuito ciò che molti mi avrebbero poi rivelato: quel discorso è stata la mia “condanna” (sorride, nda). Quando stavo uscendo dall'”Aula del Sinodo” c’era un cardinale di lingua inglese che mi ha visto e ha esclamato: “Bello quello che hai detto! Bello. Bello. Ci vuole un Papa come te!”. Ma io non mi ero accorto della campagna che stava nascendo per eleggermi. Fino al pranzo del 13 marzo, qui a Casa Santa Marta, alcune ore prima della votazione decisiva. Mentre stavamo mangiando, mi hanno posto due o tre interrogativi “sospetti”… Allora nella mia testa cominciavo a dirmi: “Qui sta accadendo qualcosa di strano…”. Ma sono comunque riuscito a fare una siesta. E quando mi hanno eletto ho avuto una sorprendente sensazione di pace dentro di me». E oggi come si sente? «Mi sento un parroco. Di una parrocchia molto grande, planetaria, certo, ma mi piace mantenere lo spirito da parroco. E stare in mezzo alla gente. Dove trovo sempre Dio».

Don Bosco in TV: tre appuntamenti per conoscerlo meglio

Dall’agenzia ANS.

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(Roma, 26 gennaio 2024) – La festa di San Giovanni Bosco, Padre e Maestro dei Giovani, è una ricorrenza sentita e partecipata in tutto il mondo.

A livello globale saranno numerose le emittenti e le testate giornalistiche che inseriranno nei loro palinsesti degli spazi speciali dedicati a ricordarne la figura e a parlare di chi porta avanti la sua missione oggi.

Sulle reti televisive italiane, ad esempio, sono già in programma nei prossimi giorni tre appuntamenti, che avranno per protagonisti il Cardinale Ángel Fernández Artime, Rettor Maggiore dei Salesiani; il Co-portavoce della Congregazione Salesiana, don Giuseppe Costa; e il Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile salesiana, don Miguel Ángel García Morcuende.

In vista della festa, domenica 28 gennaio 2024, su TgCom24, intorno alle 14:15/14:20 (UTC+1) andrà in onda l’intervista al Card. Á.F. Artime, all’interno della rubrica “Stanze Vaticane”. Il colloquio con il vaticanista Fabio Marchese Ragona sarà successivamente disponibile sulla piattaforma Mediaset Infinity e sul canale YouTube di TgCom24.

Mentre nella giornata di mercoledì 31 gennaio:

  • Don Costa sarà ospite del programma di approfondimento “Di buon mattino”, su TV2000, contenitore di attualità che ha inizio alle ore 7:30 (UTC+1)
  • Don García Morcuende verrà intervistato nell’ambito della rubrica “TG2 Italia Europa”, sulla rete Rai 2, con inizio alle ore 10:00 (UTC+1)

Per tutti gli interessati saranno, dunque, tre opportunità per conoscere ancora meglio e più da vicino la sempre attuale figura di Don Bosco.

San Giovanni Bosco, salesiani in festa – La Voce e il Tempo

Si riportano di seguito due articoli apparsi su La Voce e il Tempo.

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San Giovanni Bosco, salesiani in festa

In occasione della Solennità di San Giovanni Bosco il 31 gennaio e nell’anniversario dei «200 anni dal Sogno dei 9 anni», presso la Basilica Maria Ausiliatrice (via Maria Ausiliatrice 32) a Torino sono in programma diverse celebrazioni.

Sabato 27 gennaio si tiene un «Concerto in onore di don Bosco», alle 21 si esibisce l’Orchestra Filarmonica del Liceo Cavour di Torino.

Martedì 30 gennaio, Vigilia della solennità, alle 17 Rosario animato dalle FMA, guida don Vincenzo Trotta, vicerettore; alle 18 Messa Vespertina, presiede mons. Alessandro Giraudo, Vescovo ausiliare di Torino; alle 19 Primi Vespri, presiede don Stefano Martoglio, vicario del Rettor Maggiore dei Salesiani; alle 20.30 Veglia a don Bosco animata dai novizi salesiani.

Mercoledì 31 gennaio, solennità di San Giovanni Bosco, alle 7 Messa per il popolo, presiede don Michele Viviano, rettore della Basilica Maria Ausiliatrice; alle 8 Messa per i religiosi, presiede don Michele Roselli, Vicario episcopale per la Formazione nelle Diocesi di Torino e Susa; alle 9.30 Messa per i ragazzi delle scuole salesiane di Torino-Valdocco, presiede don Leonardo Mancini, ispettore del Piemonte e della Valle d’Aosta.

Alle 11, Messa per il popolo presiede mons. Roberto Repole, Arcivescovo di Torino e Vescovo di Susa, anima i canti la Corale della Basilica; alle 15: Benedizione dei ragazzi/e all’altare di don Bosco, presiede don Guido Dutto, parroco; alle 16 Adorazione e Secondi Vespri presiede don Michele Viviano, rettore; alle 17 Messa per il popolo, presiede don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e dell’Associazione Libera. Alle 18.30 Messa per il Movimento Giovanile Salesiano, presiede don Stefano Martoglio, vicario del Rettor Maggiore dei salesiani; alle 21 Messa con il Sermig presieduta da don Andrea Bisacchi alla presenza di Ernesto Olivero.

Cortili in festa per don Bosco

In occasione della memoria liturgica di San Giovanni Bosco, il 31 gennaio, le parrocchie e gli oratori salesiani torinesi organizzano momenti di festa e di comunità per ricordare il fondatore degli oratori.

L’oratorio Don Bosco Crocetta (via Torricelli 30) propone sabato 27 gennaio il «gioco dei travestimenti», un pomeriggio di giochi pensato per i bambini delle elementari e i ragazzi delle medie: i capi del gruppo scout Torino 24 e gli animatori si travestiranno e andranno in giro per la struttura, i bambini dovranno trovarli, indovinare le loro maschere e capire chi si cela al di sotto.

Il gioco inizierà alle 15.30 e il ritrovo sarà nel cortile dell’oratorio. Al termine, alle 18.30, verrà celebrata la Messa animata dai giovani dell’oratorio.

All’oratorio Valdocco (via Salerno 12) dal 29 gennaio vengono organizzate visite guidate nei luoghi della vita del santo (insieme al Museo Casa don Bosco). Sempre il 29, al pomeriggio, si svolgono i tornei che coinvolgono anche le società sportive di altre cinque parrocchie.

Domenica 28 alle 11 si tiene la Messa solenne celebrata dal direttore a cui seguono aperitivo, giochi e stand a premi per sostenere le attività dell’oratorio.

Infine mercoledì 31 alle 18.30 si svolge la Messa per il Movimento giovanile salesiano, presieduta dal Vicario del Rettor Maggiore, don Stefano Martoglio, a cui seguono giochi e cena comunitaria.

Il Michele Rua in Barriera di Milano (via Paisiello 37) organizza domenica 28, dopo la Messa delle 10, giochi per bambini e ragazzi.

Si tiene anche la firma del patto della comunità educativa con le associazioni del territorio. Successivamente il pranzo condiviso, altri giochi ed attività (tra cui la sala per la lettura delle storie) e, dalle 16 alle 17, un momento di spettacolo in teatro con le varie associazioni e il lancio di una proposta per i giovani del quartiere.

Al Rebaudengo (corso Vercelli 206) i festeggiamenti iniziano venerdì 26 con lo spettacolo, alle 19, organizzato dalla comunità oratoriana (bambini del catechismo, animatori e membri del coro).

Il 28, invece, dopo la Messa delle 10 si tiene il tradizionale momento di giochi con pane e salame a cui segue il pranzo comunitario per le equipe educative.

A San Salvario si comincia con la novena online dal 22 al 31 gennaio e si festeggia poi tutti insieme il 4 febbraio con la Messa a San Giovanni Evangelista alle 10.30 a cui seguono la polentata e la festa con giochi per bambini e giovani.

L’oratorio San Paolo (via Luserna di Rorà 16) organizza la novena nella cappellina dell’oratorio (o online) alle 19 dal 22 al 31 gennaio; sabato 27 gennaio i vespri alle 19.30 e a seguire dalle 20 «Don Bosco Pub» con giochi e musica; domenica 28 alle 10.30 si celebra la Messa unificata a cui seguono l’animazione e il pranzo per i giovani.

All’Agnelli (via Sarpi 117) le celebrazioni partono con i vespri dal 28 al 30 gennaio alle 19 presso la chiesa parrocchiale.

Domenica 28 alle 10 si tiene la Messa animata dai giovani a cui seguono i giochi in oratorio. Successivamente si tengono il pranzo comunitario con le famiglie dei bambini del catechismo e la visione del film «Prendi il Volo» presso il Cinema Agnelli.